Il dono di Dio agli uomini, la Misericordia

Il dono di Dio agli uomini, la Misericordia

 

di Paolo Pianigiani

 

da:

Le Sette Opere di Misericordia, nella sala del Magistrato della Misericordia di Empoli,

di Bruna Scali e Virgilio Carmignani

a cura di Silvano Salvadori

Novembre 2022

 


Qui in silenzio, davanti all’affresco di Bruna, appena restaurato. La mente va a cercare emozioni e i sentimenti, quel riflettere sulle cose che a volte aiuta a capire il mondo che ci sta intorno. Le sette opere di Misericordia, elencate e descritte, come avrebbero fatto Masolino e Masaccio nel primo Quattrocento. In orizzontale e a scorrere, con le scene che raccontano con l’esempio facile da capire cosa si deve fare, per essere misericordiosi. Accogliere i pellegrini.

Ed eccolo arrivare, con il suo ciuchino, lo straniero di turno. Oggi arrivano con altri mezzi, i gommoni dal mare, ma sono accolti con lo stesso spirito caritatevole. E rivestiti, con gesti gentili e misurati. E qui per due volte la presenza di Virgilio Carmignani, coautore e ispiratore del dipinto, ritratto in punta di pennello. E già ci si accorge che siamo nella più pura delle campagne toscane, con i colli e i campi di grano. Un pastore con il suo gregge osserva con rispetto il passare di un trasporto funebre, con i due confratelli in divisa (la “buffa”), che portano alla sua ultima dimora il defunto. Seppellire i morti, recita e impone il terzo invito ai misericordiosi.

Punto e a capo, siamo sul primo quadro dell’affresco. In casa e a tavola. Gli affamati trovano ristoro, mentre il cane di casa si avventa sul suo boccone. Lì fuori, sull’aia, il pozzo; la massaia distribuisce l’acqua agli assetati. Quel bambino, come usava in antico, è uno dei ritratti di famiglia. Oggi suona le percussioni in un gruppo musicale e si chiama Jacopo.

Ancora un interno con due malati. Uno nel gran letto di ferro in stile toscano e l’altro con la gamba fasciata che si regge con le stampelle. E i benefattori in visita, provenienti dalla città: tutta la famiglia con il piccolo in braccio. E infine la visita ai prigionieri. E qui un soldato, con elmetto e fucile, sorveglia la scena, a ricordarci la durezza del nostro mondo, che vuole violenza anche nei momenti migliori degli uomini, quando appunto condividono con un atto d’amore il dolore di tutti.

Non si cerchi leggi di prospettiva in questo affresco. Sono inutili. Non si passa da quelle porte; e non importa riconoscere Castelfiorentino, città natale di Bruna, lassù sullo sfondo, a sinistra. In questo affresco contano gli uomini, semplici, durante le attività che svolgono ogni giorno per rimediare, quel possibile, ai mali che accadono e aiutare gli altri. Misericordia. Parola antica e piena si significato. Viene da “misereor”, aver pietà, e da “cordis” il genitivo di cuore.

Sta nel cuore, dicono gli antichi, il primo moto che ci spinge a sollevare i nostri fratelli nel dolore e nelle difficoltà. E questo affresco di Bruna, oggi tornato a splendere di nuovo in tutta la sua bellezza, ci racconta le opere di Misericordia che ancora oggi questa nobile Associazione di uomini e di donne porta a termine ogni giorno, senza il bisogno di farlo sapere. Non a caso la buffa nasconde il volto dei benefattori.

Ma, come recita come un mantra l’augurio che spesso si scambiano fra queste stanze, “un giorno Dio te ne renda il merito”.


 

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