Giorgio Butini, Oltre

GIORGIO BUTINI

Inaugurazione della scultura

OLTRE

ARCO DELLA PACE 

 

Chiesa Santa Maria Maddalena dei Pazzi Via Borgo Pinti, Firenze

 

SABATO 6 MAGGIO 2023 ore 17

 

Foto di Loris Ciampi


 

Giorgio Butini

 

GIORGIO BUTINI

Sono nato a Firenze il 25 febbraio del 1965. Fin da bambino ho manifestato una buona predisposizione per il disegno e per le arti figurative: un semplice gioco dapprima, trasformatosi poi in passione ed infine in profonda ragione di vita.

Ho fatto mio il linguaggio dei segni ancor prima di quello della parola. Ho frequentato il Liceo Artistico Cavour di Firenze, svolgendo contemporaneamente attività formative presso botteghe private di famosi artisti.

Ho compiuto studi approfonditi sul corpo umano, frequentando corsi di Anatomia presso l’Università degli Studi di Firenze. Nel 1982 ho conosciuto lo scultore Antonio Berti e ho avuto l’opportunità di frequentare assiduamente la sua bottega.

Dal 1985 al 1989 sono entrato a far parte, come allievo, dell’Accademia privata dell’artista Raimondo Riachi in Firenze, ambiente che ho continuato a seguire come collaboratore dal 1990 al 1994.

La formazione presso la ‘Bottega’ del Maestro mi ha permesso di acquisire una vasta esperienza in molteplici discipline e tecniche, specializzandomi sia come scultore sui materiali più vari (marmo, pietra, creta, bronzo, alabastro) che come pittore.

La mia esperienza si estende anche al campo dell’arte orafa, dal modello in cera alla fusione ed al cesello, con specializzazioni anche nell’ambito del restauro di dipinti e affreschi.

 

www.giorgiobutini.it

info@giorgiobutini.it

 


 

GIORGIO BUTINI
e la sua idea di pace

di Giovanna Lazzi

 

Non ha l’ottimo artista alcun concetto c’un marmo solo in sé non circonscriva col suo superchio, e solo a quello arriva la man che ubbidisce all’intelletto.

 

Nel sonetto composto intorno al 1540 Michelangelo insiste sull’idea che la missione dell’artista sia eliminare dal blocco di marmo tutta la materia superflua che imprigiona la forma che vi è racchiusa. Da una concezione classica e intellettualistica muove la spinta creativa che porta alla realizzazione del capolavoro.

Per Giorgio Butini la scintilla dell’ispirazione non viene solo dall’intelletto ma appare legata a sentimenti e emozioni più che a quella razionalità che, comunque, stava alla base dell’arte del sublime maestro, visto come un esempio da seguire, un faro a cui ispirarsi. Butini non ha forse nelle sue corde la terribilità del grande scultore quanto piuttosto una vena meno drammatica, più malinconica e intima.

La sua è una sensibilità acuta e sofferta, attenta al sociale, agli eventi, alla storia o meglio alle storie, alle microstorie delle persone, degli individui che si trovano ad agire come attori nel grande palcoscenico della vita.

L’esperienza personale, acutamente vissuta nel profondo con cadute e difficili risalite, lo porta ad una concezione intimamente sentita del dolore e della sofferenza dell’uomo e del mondo, a dare forma e corpo alle paure e alle angosce.

Ecco la predilezione per i corpi nudi, che gli consentono di mostrare la sua abilità di disegnatore, quel tratto pulito e articolato che pare guardare i grandi maestri del Rinascimento, soprattutto i fiorentini, impareggiabili proprio nel disegno.

Il nudo è studiato nell’anatomia con insistenza e cura profonda, le membra si presentano vigorose e tornite, soprattutto nei personaggi maschili, la cui fisicità si presta allo studio delle torsioni, delle masse muscolari in evidenza, ma non mancano leggerezze e stilizzazioni specialmente nelle figure femminili, di cui talvolta si accentuano dolcezze e rotondità, o si seguono i moti guizzanti di ninfe leggiadre, dalle forme plasmate dall’acqua.

Guardando questa complessa realizzazione viene alla mente la gigantesca porta del- l’Inferno di Auguste Rodin, quella linea sinuosa dei corpi colti mentre scivolano in una caduta disperata ove si toccano, però, persino punte di affettuoso lirismo nel famoso bacio di Paolo e Francesca.

Giorgio conosce Rodin, lo ammira e con lui torna nuovamente a Michelangelo, che anche per l’artista francese era stato il grande ispiratore. Eppure siamo ancora in presenza di sensibilità diverse e anche di diverse finalità concettuali. Nell’arco della pace le figure si sostengono, il loro è un contatto solidale, un consapevole aiuto reciproco in una difficile impresa.

Il contatto fisico dei corpi esprime la vicinanza morale ed acquista un toccante significato di attualità dopo che ognuno di noi ha sperimentato, e Giorgio in modo particolarmente pesante, l’acuta sofferenza dell’isolamento durante la terribile esperienza della pandemia. Allora questo arrampicarsi dei personaggi, sospingendosi l’uno con l’altro, acquista un impeto di speranza.

La catena umana si allunga sulla volta e poi si curva nella discesa ma questa volta il destino non è precipitare nella voragine come nell’abisso infernale ma raggiungere la meta, la terra da cui siamo partiti e a cui si torna.

I personaggi, in cui si indovinano culture e etnie diverse, accomunati dalla spinta comune a stare insieme per non odiarsi ma anzi per convivere in armonia, si muovono in linee sinuose ma aderenti alla forma dell’arco, che scandisce, quasi musicalmente, il ritmo del viluppo delle membra, talvolta aggrovigliate, talvolta allungate con quella grazia di figure in movimento, sospinte dal vento che ne muove i leggeri panneggi, che ricorda scultori come Libero Andreotti.

Un’opera complessa per la tensione spirituale da cui scaturisce, il terrore della guerra, il ripudiare la discordia, l’anelito alla pace, ma che si realizza con consapevole razionalità stilistica scegliendo la forma architettonica per eccellenza, l’arco che, dalla tradizione classica alle più moderne sperimentazioni, ha sempre rappresentato la solidità strutturale e l’eleganza decorativa, esteticamente bello, funzionalmente stabile.

Disciplinata da questa struttura portante, la composizione si intreccia alle linee guida, plasticamente mobile, suggestivamente viva anche per i giochi di cromatismo luministico dati dagli sbattimenti di luce sul nitore del bronzo, fuso con il procedimento a cera persa, all’antica. Un toccante messaggio si legge attraverso questi nudi, parole suggerite quasi sommessamente, con struggente malinconia, non gridate con violenza ma scandite con potente vigore.

Voluti rimandi all’antico, all’arte classica collaudata dalla tradizione, si uniscono ad un sentire moderno e attuale in un linguaggio schietto e comprensibile, che si attiene alla espressione figurativa ma che, nel realismo, riesce a esprimere un messaggio chiaro, da interiorizzare e condividere.

Con l’immediatezza di un canto popolare moderno e la meditata bellezza di un gruppo scultoreo antico, l’opera lancia il suo monito: solo tentando la via dell’unione con consapevolezza, senza inutili sentimentalismi occasionali dettati da spinte emotive, nella coscienza del bene comune si potrà costruire questo arco di pace.

 


 

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