Linda Pisani su Masolino e Masaccio

L’Arte di Masaccio e L’Arte di Masolino:

un dialogo e il suo contrario

(vent’anni di studi e ricerche)

di Linda Pisani

 

Da: Masaccio e Masolino, il gioco delle parti

Editore 5 Continents, Milano 2002

 

Ringrazio l’Editore per avermi permesso la pubblicazione di questo capitolo del Libro. (p.p.)

 

  Nel 1869, il padre carmelitano Santi Mattei, commentando gli affreschi della Cappella Brancacci, poteva già permettersi di affermare: opportuno accennare adesso le principali pubblicazioni che si son fatte di queste pitture, ma la cosa troppo in lungo andrebbe, che più non mi è permesso di fare…”1.

  Nel 2002, chiunque si accinga a chiarirsi le idee su Masaccio e Masolino, deve armarsi di pazienza e confrontarsi con un’estrema quantità di testi critici fioriti soprattutto nell’ultimo ventennio in seguito ai restauri condotti sui principali testi figurativi dei due artisti — la cappella Brancacci (1980-1990), le decorazioni di Castiglione Olona (1995-1998 per il battistero), la cappella di Santa Caterina nella chiesa romana di San Clemente (1988-1995), la Trinità di Santa Maria Novella (1999-2001) — ed alle analisi tecniche svolte sulla quasi totalità delle loro opere su tavola2.

  Le pagine che seguono aspirano a porsi come un piccolo strumento al servizio di chi potrebbe scoraggiarsi di fronte a tanta mole bibliografica, ma non intendono né sostituirsi ad una lettura diretta, né porsi come un’impossibile ‘recensione collettiva’.

  Il dibattito critico, rinvigoritosi per il recupero di alcuni brani figurativi e la possibilità di far affidamento su rinnovate campagne fotografiche, si è rifranto lungo alcune direttrici privilegiate che cercherò di ripercorrere.

 

  1. Presentazione dei restauri

 La conseguenza più immediata è stata la redazione di testi volti a presentare gli interventi di restauro, a spiegarne i criteri e a renderne note, con varie gradazioni di enfasi, le scoperte3. Ad essi hanno fatto naturale eco polemiche e recensioni critiche.

  È Umberto Baldini4, direttore scientifico dei lavori alla Brancacci, a sintetizzare i primi risultati nel 1984: tutta la volta originale, compresi i costoloni di impianto, è stata totalmente distrutta durante il rifacimento settecentesco che comportò un innalzamento del vano della cappella. Neppure sotto i lunettoni delle pareti laterali è rimasta traccia degli affreschi originali. Invece, è stato ritrovato l’arriccio con le sinopie (relative al Pianto di Pietro ed al Pasce oves meas) nella parete di fondo, ai lati della finestra barocca, e sono stati recuperati gli sguanci (con due testine ed i fregi floreali) della bifora originale, mentre sotto di essa è stata trovata traccia di un paesaggio, forse parte di una Crocifissione. Di questa scena non parla neppure Vasari ed evidentemente era stata distrutta quando nella cappella fu portata l’immagine duecentesca della Madonna del Popolo. Per Baldini, le due sinopie ritrovate ai lati della finestra sarebbero una di Masaccio, a sinistra, e l’altra di Masolino, a destra, così come i due tondi con le testine, mentre ciò che è riemerso della presunta Crocifissione viene ricondotto con decisione a Masaccio.

  In alcuni articoli sulla «Critica d’Arte» del 1986, 19885 e 19896 viene dato annuncio delle prime nuove interpretazioni critiche. Baldini precisa la portata dell’intervento di Filippino nella scena della Resurrezione del figlio di Teofilo e ne individua un restauro sul testo masaccesco della Distribuzione dei beni.7 Ornella Casazza, sulla scorta degli Atti degli Apostoli e della Legenda Aurea, segnala nella storia della salvezza del genere umano (Historia Salutis) il messaggio teologico sotteso all’intero ciclo e precisa l’ordine di lettura degli affreschi; quanto alle modalità di realizzazione, propone un’alternanza sui ponteggi fra i due artisti che avrebbero dovuto dividersi a metà l’onere del ciclo8.

  Nel 1988 l’attenzione di Baldini si appunta sulla necessità di asportare le foglie sovrapposte alle nudità dei progenitori, mentre la Casazza ribadisce la mirabile ‘gabbia prospettica’ del ciclo. Nel 1990 ancora Baldini9 ricorda il cromatismo masaccesco recuperato dai restauri e sottolinea la piena comprensione della diversità tecnica nelle procedure adottate dai tre artisti, in particolare quella di Filippino, molto simile alla pittura su tavola. La Casazza10 sottolinea come sia stato tolto il beverone a base di sostanze organiche usato durante i restauri ottocenteschi che, sottraendo in parte l’opera alla vista, contribuiva al suo degrado con sali e muffe. Sulla rivista «FMR», Vittorio Sgarbi11, citando alcune variazioni all’interno del ciclo, ipotizza addirittura l’intervento di un altro artista più scopertamente ‘umanistico’ rispetto a Masolino e Masaccio, per lui forse da identificarsi nel giovane Beato Angelico.

  All’indomani della riapertura della cappella, uno dei primi problemi da risolvere fu il ricollocamento dell’altare settecentesco, questione che, dopo lunghe discussioni, si è chiusa con la scelta di collocare l’altare a circa 25 cm di distanza dalla parete di fondo, in modo da consentire la visione degli affreschi12. Nel 1990 viene quindi pubblicata una sorta di monografia sulla cappella, firmata congiuntamente da Baldini e dalla Casazza. Gli ‘artefici’ del restauro ne riassumono i principali risultati: le foglie che coprono le nudità dei progenitori erano aggiunte successive; mentre nella Cacciata (l’ultimo episodio ad esser stato dipinto) fuori dalla porta del paradiso, la missione di base per l’oro è riuscita a conservare l’azzurrite, fornendo un saggio di come poteva essere il cielo dipinto da Masaccio.

  Nella scena del Tributo sono state recuperate le aureole di alcuni apostoli, la definizione del cielo e del lago increspato di piccole onde, ed anche il muretto coi gradini e, per i due studiosi, il volto di Cristo è masoliniano come tipologia, ma masaccesco come esecuzione; per il Battesimo (fra le scene che hanno maggiormente sofferto per l’umidità) Baldini riafferma la piena autonomia masaccesca; nella Resurrezione di Tabita la veduta cittadina sarebbe totalmente masoliniana e l’intonaco, lasciato grosso, suggerisce che probabilmente era stato predisposto un disegno preparatorio destinato ad esser riportato sulla parete; nel San Pietro che risana con l’ombra, invece è riemerso il fondale dipinto con colonne e vedute di città; nella scena col San Pietro in carcere, Filippino probabilmente poteva far affidamento su di una sinopia masaccesca13.

  A poca distanza segue la trattazione, altrettanto riassuntiva ed informata, di Rossella Foggi14 e quella di Andrew Ladis15 che si limita ad una descrizione ed un breve commento degli affreschi. Fra le voci polemiche, James Beck pensa addirittura che la decorazione degli sguanci delle finestre con fregi e testine non fosse parte del programma originario, e contesta l’asportazione delle foglie dalle nudità di Adamo ed Eva; esito negativo del restauro secondo lui sarebbe anche l’accentuata separazione fra le parti del ciclo realizzate in giornate diverse che i due artisti non avevano previsto così visibile; inoltre l’omogeneità stilistica degli affreschi sarebbe l’esito dell’intervento livellante dei restauratori più che dell’accordo fra i tre artisti; infine, dopo il restauro, la cappella sarebbe stata trasformata in un museo ed il suo contesto disgregato16.

  Entrambi più pacati, sebbene diversi negli intenti e nelle motivazioni, sono i pareri espressi da Antonio Paolucci e Keith Christiansen. Per il primo, dagli esiti del restauro, valutato in termini positivi, si verifica l’esistenza di un dialogo, non di una rottura, fra Masolino e Masaccio, a differenza di quanto voleva Longhi, condizionato dallo stato di conservazione degli affreschi, ma anche dal contesto storico in cui scriveva17. Per Christiansen, la prima conseguenza della pulitura della Brancacci è che i nuovi colori rendono meno atipica la cromia masaccesca del pannello londinese un tempo parte del polittico di Santa Maria Maggiore. Tuttavia, nella Brancacci, oltre alle lacune, resta almeno la perdita di tutti gli strati di azzurrite e delle rifiniture ad oro certamente applicate da Masolino per ornare gli abiti dei personaggi.

  Quanto ai soggetti delle sinopie recuperate, lo studioso solleva qualche dubbio sulla Crocifissione di San Pietro: vi manca infatti la tradizionale presenza delle piramidi ed anche la sagoma della superficie non sembra adeguata ad ospitare una raffigurazione così importante; inoltre, in origine, come dossale, sull’altare poteva esserci il rilievo donatelliano con San Pietro che riceve le chiavi oggi al Victoria and Albert Museum. In relazione al significato generale sotteso al ciclo, introduce un ulteriore distinguo, collegato alle parole di Jacopo da Varagine: Pietro superò gli altri apostoli per autorità, amore per Cristo e possibilità di effettuare miracoli, ed ognuna delle tre pareti della cappella si focalizzerebbe su uno di questi aspetti. Contesta la lettura di Baldini/Casazza, in base alla quale i lavori sarebbero stati iniziati insieme da Masolino e Masaccio e redatti separatamente dai due artisti: a suo avviso, invece, la decorazione sarebbe stata avviata da Masolino, come indicato dall’intradosso della finestra in linea con quanto proposto ad Empoli.

  Christiansen, allineandosi a posizioni espresse da Luciano Bellosi e Miklòs Boskovits18, sostiene che gli artisti sembrano essersi divisi il lavoro in modo da rendere poco stridente la diversità dei loro approcci: si incontra, infatti, un paesaggio masaccesco in una scena masoliniana (Predica) e un paesaggio masoliniano in una scena masaccesca (Battesimo)19, oltre ad una testa masoliniana per il Cristo del Tributo; inoltre, sia Masolino che Masaccio, attivi al Carmine nel corso del 1425, dovettero avvalersi di aiuti20, mentre Masaccio sarebbe tornato sui ponteggi della Brancacci dipingendo il San Pietro in cattedra dopo l’impegno pisano del 142621.

  Come sottolineato a più riprese da Ken Shulman22 autore di un volume che riassume le varie tappe dei restauri alla Brancacci presentandoci i personaggi che ne furono protagonisti (storici dell’arte, tecnici, finanziatori e scienziati), alle spalle di quest’intervento epocale vi è la figura di Ugo Procacci, che per tanti anni l’aveva inutilmente caldeggiato. Al Procacci la ricerca su Masaccio e Masolino è grata di molti risultati positivi, sia in termini di riscoperte (il brano di affresco nascosto dietro l’altare della Brancacci, testimone della valenza cromatica anteriore all’incendio settecentesco; la ‘Morte’ sotto la Trinità di Santa Maria Novella; le ricerche della perduta Sagra del Carmine; il rinvenimento dei resti empolesi del ciclo di Masolino), sia per lo scavo archivistico: nel 1980, prima dell’avvio effettivo dei restauri, esce il suo saggio su Masaccio23, seguito a poca distanza da una ricerca documentaria sulla famiglia dell’artista24 e sullo Scheggia (il fratello di Masaccio)25 e da un dettagliato sunto sulle vicende storiche della cappella con particolare riferimento ai restauri passati26.

 

  1. Studi masoliniani

  Dopo questa prima stagione di pubblicazioni volte a dar conto degli esiti dei restauri, si è verificato il fiorire di studi monografici che inglobavano quei risultati in nuovi tracciati del percorso dei due artisti. Così, Masaccio può vantare ben nove nuove monografie, mentre gli studi su Masolino beneficiano finalmente di una rivisitazione complessiva, che colma una vera e propria lacuna bibliografica.

  Intanto, nel 1987 due fascicoli della rivista «Arte Cristiana» raccolgono vari interventi dei relatori al convegno Masolino e la cultura artistica lombarda del Quattrocento. In quella sede, Eiko Wakajama affronta alcuni problemi attributivi molto dibattuti, come il riferimento a Masolino della testa di Cristo nella scena del Tributo, di entrambe le testine negli sguanci della finestra, e dello sfondo della scena della Resurrezione di Tabita, definendole opere dipinte da Masolino in un momento masaccesco27.

  Joseph Manca svincola il paesaggio montuoso dipinto da Masolino nel Palazzo Branda Castiglioni dalla raffigurazione della città ungherese di Vèszprém28; ma il suo collegamento al testo dell’Historia Naturalis di Plinio, e l’idea che possa trattarsi di un’immagine fantastica ispirata alle decorazioni delle dimore romane, sono presto contraddetti da Piera Bocci Pacini in un articolo imperniato sull’analisi della cultura umanistica di Masolino29. Nella stessa sede, Miklòs Boskovits propone una ricostruzione dell’attività giovanile dell’artista: Masolino, che ottiene l’emancipazione dal padre ormai alla soglia dei quarant’anni, il 18 maggio 1422, si sarebbe formato con Starnina e, dopo la sua morte, avvenuta fra 1409 e 1413, si sarebbe trasferito in Ungheria. L’attività antecedente alla Madonna di Brema (dat. 1423) sarebbe rappresentata dal frammento in collezione privata restituitogli da Zeri, letto come una derivazione da modelli di Starnina, e dalla Madonna Contini Bonacossi caratterizzata da uno sguardo attento a Lorenzo Monaco.

  Verso il 1420 si assisterebbe al recupero neogiottesco del trittico Carnesecchi e, dal 1423 – nelle due Annunciazioni alla National Gallery di Washington – ad una certa attenzione prospettica. Per la cappella Brancacci si affrontano due diverse questioni: la datazione e la committenza. Lo studioso giudica irragionevole che i carmelitani di Firenze avessero lasciato andare Masaccio a lavorare per i confratelli di Pisa ammettendo una semplice pausa nei lavori del Carmine. Probabilmente tutto ciò che i fondi stanziati permettevano di fare doveva esser stato realizzato entro il settembre 1425. Nello stesso anno Felice Brancacci, allora cassiere del comune, viene accusato di appropriazione indebita ai danni dell’erario; in quelle condizioni era ben difficile che avesse fondi da riversare nella committenza della cappella ed è più probabile che lo facessero i carmelitani. Il terzo nodo dell’articolo riguarda il trittico romano di Santa Maria Maggiore: non sarebbe stato Masolino ad iniziarlo e Masaccio a terminarlo, ma viceversa. Inoltre dibattuta è anche la collocazione originaria, poiché probabilmente era stato commissionato da Rinaldo Brancacci, arciprete della Basilica, ed era posto sull’altar maggiore30.

  Ancora per il polittico di Santa Maria Maggiore, le analisi tecniche condotte sulle tavole di Filadelfia da Carl Strehlke e Michael Tucker confermano e chiariscono che la posizione di San Pietro e San Paolo all’inizio era invertita, come, sul retro, quella di Giovanni Evangelista e di San Martino. Inoltre si nota come in alcuni casi il pannello di Londra riusi schemi preparatori predisposti per quelli a Filadelfia e si riscontrano due diversi procedimenti pittorici in connessione col cambiamento di iconografia: le mani ed i piedi dei santi son dipinti in modo diverso rispetto ai volti, dove manca il verde di preparazione: Masaccio fa infatti ricorso alla tempera tradizionale, mentre Masolino usa una preparazione bianca31.

  Al polittico di Santa Maria Maggiore è dedicato anche un articolo di Paul Joannides che prende l’avvio dalle indagini di Strehlke e Tucker, contestandole in parte. Lo studioso accetta l’ipotesi che il trittico fosse stato realizzato per l’altar maggiore della chiesa romana, ma sostiene che la sua esecuzione dovette risalire al 1423, anno del Giubileo indetto da Martino V, e non al 1428. Masolino, secondo lo studioso, dopo aver dipinto le scene centrali su entrambi i lati si sarebbe valso della collaborazione di Masaccio per le mani dei Santi Pietro e Paolo, e quindi gli avrebbe affidato l’esecuzione della coppia Girolamo-Giovanni Battista32.

  Torna sul tema anche una tesi di dottorato che argomenta nel dettaglio la ricostruzione del Boskovits: il polittico sarebbe stato realizzato per decorare l’altar maggiore della chiesa su commissione di Rinaldo Brancacci come un omaggio a papa Martino V che avrebbe ricreato a Roma una nuova età dell’oro33; mentre le recenti osservazioni di Carl Strehlke chiamano in causa, in veste di committente, un altro personaggio dell’entourage papale, il cardinal Antonio Casini, probabilmente ritratto in uno dei personaggi della scena col Miracolo della Neve e soprattutto, chiariscono definitivamente che le figure dei Santi Pietro e Paolo furono iniziate da Masaccio e portate a compimento da Masolino34.

  Col restauro empolese diretto da Rosanna Proto Pisani35, si riapre il dibattito sulle sinopie masoliniane di quel ciclo, ritrovate dal Procacci nel 1943, a cent’anni dalla riscoperta del ciclo castiglionese e ricollocate in sito nel 1981-82. Dal punto di vista stilistico, fatta eccezione per qualche momento di maggior complessità, le sinopie empolesi sono assai più ingenue di quelle del ciclo romano (Bellosi), mentre per alcuni studiosi non mancherebbero di aspetti innovativi (Roberts, Joannides). Proprio grazie ad una riconsiderazione delle sinopie romane, Luciano Bellosi riconosce una prova grafica riconducibile a Masolino nel disegno dell’Albertina raffigurante studi per una Flagellazione, tradizionalmente riferito a Ghiberti36.

  Una griglia iconografica, come sottolineato (in anni recenti dalla Proto Pisani e dal Bellosi), è fornita da quello di Agnolo Gaddi a Santa Croce e, secondo l’indagine di Barbara Baert, un confronto con quest’ultimo indicherebbe la presenza di raffigurazioni oggi perdute anche sulla parete di fondo della cappella37. Di diverso parere, Lajos Vayer enfatizza le divergenze rispetto alla tradizione agnolesca e propone di leggere il ciclo, vista l’enfasi sulle storie di Eraclio e Cosroe, come un riflesso della lotta di Giovanni Paleologo contro i turchi. Lo studioso ravvisa influssi di avvenimenti contemporanei, in particolare la repressione dell’eresia ussita, anche nel ciclo masoliniano di San Clemente38.

  Grazie alla segnalazione (dovuta ad Alessandro Conti) di una notizia presente in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Firenze, Giovanna Damiani propone di ricondurre la committenza dell’Annunciazione Goldman (Washington National Gallery of Art, Collezione Mellon nr. 16) alla cappella Guardini del tramezzo della chiesa fiorentina di San Niccolò fondata in seguito al testamento del Guardini, morto 1’11 marzo 142739. Le riflessioni su singole opere di Masolino proseguono con un nuovo articolo di Joannides che focalizza l’attenzione su due piccole tavole — la Dormitio Virginis alla Pinacoteca Vaticana e il Matrimonio della Vergine già a Berlino — di cui contesta la sequenza sotto il comparto centrale ed il laterale destro del trittico romano, come spesso si asserisce, proponendo di ravvisarvi la predella dell’Annunciazione Kress40.

  Un bilancio del percorso stilistico dell’artista, sintetico ma puntuale soprattutto in merito alla formazione del pittore, si rintraccia quindi nella voce dell’Enciclopedia Einaudi, redatta da Luciano Bellosi, che evidenzia nel trittico destinato alla chiesa fiorentina di Santa Maria Maggiore il momento di maggior adesione al linguaggio masacceso41.

  Si arriva così alla monografia di Perry Lee Roberts42 (1993), che nell’introduzione afferma il suo intento di sottrarre Masolino all’ombra ingombrante di Masaccio e di restituirlo alla sua personalità artistica; l’autrice ripercorre quindi le principali tappe storiografiche: dalla biografia di Vasari, rimasta a lungo il punto di partenza esclusivo per ogni valutazione di Masolino, alla riscoperta, nel 1843, del ciclo di Castiglione, che segna l’inizio di un vero dibattito critico, costellato dai tentativi di Crowe e Cavalcaselle (1864) di assegnare tutto a Masaccio, dal raggruppamento di un primo corpus di opere col Berenson (1896, 1902), e quindi dalla celebre disamina di Longhi (1940). Nel capitolo dedicato alla biografia dell’artista, la Roberts dà credito all’ipotesi che Masolino abbia compiuto il suo tirocinio artistico con l’orafo Bartolo di Michele, patrigno di Ghiberti, e sia poi divenuto assistente di quest’ultimo durante i lavori per la Porta nord del battistero; analizzando le opere, discute l’influsso di Starnina e Ghiberti su Masolino con gli occhi rivolti alla Madonna di Brema e rifiuta la ricostruzione dell’attività giovanile del pittore a monte di quel dipinto.

  Per il trittico fiorentino accetta la pertinenza come parte della predella della tavoletta del Museo Ingres di Montauban, destinata ad esser smentita dalle più recenti analisi scientifiche, che confermano invece l’appartenenza al complesso della tavoletta con Storie di San Giuliano al Museo Horne di Firenze43. Anche per la Roberts, come sottolineato in precedenza da Christiansen, alla Brancacci le decorazioni foliacee dell’intradosso della finestra suggeriscono, proprio per la loro somiglianza con le bordure empolesi, che Masolino sia stato il titolare dell’incarico del ciclo, anche se forse lavorò sin dall’inizio insieme a Masaccio. La studiosa ribadisce la diversità nel valore attribuito da Masolino e Masaccio alla costruzione prospettica: anche quando vi fa ricorso, Masolino la usa come strumento per costruire uno spazio credibile, ma avulso dal contesto narrativo; evidenzia inoltre la propensione masoliniana all’uso dell’oro e delle decorazioni. Dedica quindi un capitolo alle cosiddette ‘peregrinazioni di Masolino fra 1425 e 1432’: Pippo Spano, il condottiere fiorentino trapiantato in Ungheria, che aveva fatto edificare l’ospedale di Lippa, il castello di Ozora (sua residenza) e la cappella funeraria di Arbecele, probabilmente coinvolse Masolino per la decorazione di una di queste sedi, ma non ci è rimasto niente di certo.

  Quando Masolino fa ritorno in Italia, si dedica al polittico per Santa Maria Maggiore, che anche per la Roberts fu commissionato dal papa Martino V Colonna per l’altar maggiore di quella chiesa. Nel pannello dipinto da Masaccio oggi alla National Gallery di Londra, in accordo con quanto sostenuto dal Berti, la studiosa sottolinea un uso della luce estremamente sofisticato a suo avviso inammissibile prima del 1426. Rifiuta quindi la paternità masoliniana della predella con la Morte della Vergine e il suo Matrimonio che ritiene piuttosto prossime a Francesco d’Antonio. L’Annunciazione di San Niccolò Oltrarno, uno dei primi esempi di tabula quadrata con questo soggetto, avrebbe come termini di riferimento il 1427 ed il 1430. Non prima del marzo 1429 Masolino sposta a Roma la sua bottega per concentrarsi sugli affreschi di San Clemente in cui rivela una certa capacità inventiva: i dottori della chiesa sono infatti seduti su nuvole e non su scranni ed è possibile che questa formula fosse già stata varata nella volta della Brancacci, come suggerisce il suo ricorrere in alcune tavole di Francesco d’Antonio e nella più tarda decorazione del battistero di Castiglione Olona.

  La Roberts propone una spiegazione del programma iconografico degli affreschi di San Clemente (l’introduzione del San Cristoforo sarebbe un omaggio alla discendenza lombarda del cardinale; Ambrogio sarebbe motivato dalla lotta contro le eresie) destinata ad esser maggiormente argomentata da Carlo Bertelli, che la ricollega alla discendenza lombarda del cardinale ed alla decorazione degli oratori di Lentate e Mocchirolo44.

  Masolino sarebbe morto verso il 1436, comunque prima della scomparsa del committente del ciclo castiglionese (1443) che infatti rialloca il completamento della decorazione al Vecchietta e a Paolo Schiavo. La Roberts rifiuta l’idea che la loggia abbia decorazioni masoliniane e così pure che Masolino sia stato l’architetto della chiesa di Villa45, e nell’epilogo sottolinea, amplificandola, l’importanza di Masolino per le generazioni successive.

  La monografia della Roberts” si pone come un ‘punto della situazione’, e se fa tesoro di alcune delle novità più interessanti sull’artista confluite in articoli scientifici degli anni Ottanta, essa stessa è strumento, al servizio di altri studiosi, per ulteriori raggiungimenti.

  Un’aggiunta alla produzione giovanile di Masolino, una piccola tavola cuspidata raffigurante un San Giovanni Evangelista comparsa sul mercato antiquario con la corretta attribuzione, è riproposta in sede di stampa dalla stessa Roberts47, mentre una disamina attenta del perduto ciclo Orsini (oltre trecento personaggi suddivisi nelle sei aetates mundi del quale si conoscono varie repliche illustrate da disegni e miniature a corredo di codici del XV e XVI secolo, ed una serie di dodici Sibille) è offerta dagli studi di Margherita Ferro, Silvia Tomasi Velli e Matilde Gagliardo”. Nel 1996, il Christiansen in una voce biografica dedicata all’artista sottolinea con vigore l’importanza dell’influsso gentiliano sulla sua formazione49.

 

  1. Masolino a Castiglione Olona

  Un capitolo a parte, oggetto di indagini specifiche, è quello del ciclo di Castiglione Olona: prima di esser chiuso dalla pubblicazione monografica di Carlo Bertelli, corredata da un dettagliato repertorio di foto e da un attento studio sulla personalità storica del committente50, era stato scandito da diverse tappe significative. Nel 1980 lo studio del Magugliani è teso alla rivalutazione, persino eccessiva, di Masolino, del quale si amplifica la cultura composita ed ‘internazionale’51.

  Successivamente Arnalda Dallaj ipotizza che l’origine della polarizzazione fra Masolino e Masaccio risalga al Vasari. Gli affreschi di Castiglione, che erano stati scialbati nel 1747, furono riportati alla luce nel 1843 e l’abate Malvezzi rinvenne in una vela del coro la firma di Masolino che induceva ad assegnargli anche la decorazione del battistero, con la data 1435. Interessante, nel suo testo, il capitolo sugli ideali estetici del cardinal Branda: quando, nel 1431, il cardinale mostrò quel che di notevole esisteva nel borgo al vescovo di Pavia, Francesco Pizolpasso, ebbe cura di non deludere le aspettative dell’ospite ponendolo di fronte soltanto a quel che avrebbe potuto conciliarsi con i suoi orientamenti estetici. Pizolpasso infatti, secondo l’interpretazione della studiosa, non vide l’ala privata del palazzo di Branda Castiglioni, con gli affreschi della camera del cardinale che celebravano la stirpe del committente52. Branda aveva dunque ben chiara la dialettica fra decorazione pubblica e privata e, secondo la Dallaj, questo dualismo si riflette nel ciclo castiglionese ed anche nel trittico romano dove il Miracolo della Neve (per i chierici) è animato da interessi prospettici e sul lato opposto l’Assunzione (per un pubblico generico) indugia su più arcaici valori di superficie.

  Nel programma iconografico di Castiglione, in cui avrebbe giocato un ruolo anche lo scolastico Giovanni da Olmütz , vengono trattati con grande delicatezza due temi mariologici in quegli anni assai spinosi, ossia l’Immacolata Concezione e l’Assunzione. La presunta ‘irrealtà’ delle immagini sarebbe il frutto di una precisa istanza estetica e non di un’involuzione stilistica. La differenza di tono fra le due campagne (del battistero e della collegiata), tangibile nel maggior realismo iconografico e prospettico del battistero, si spiegherebbe con la funzione di cappella privata svolta da quest’ultimo53.

  È ancora una volta Joannides54 a tracciare una sintesi dell’impegno lombardo di Masolino accettando la scansione cronologica proposta dal Longhi (1940): il pittore nel 1435 affresca il battistero, dove si riscontrano numerose aggiunte a secco poi cadute lasciando in evidenza pentimenti e varianti già rilevati dal Mazzini55 durante i lavori di restauro, quindi chiude il suo impegno castiglionese con la decorazione della collegiata. Tuttavia anche la cronologia interna della campagna svolta per Castiglione Olona è oggetto di dibattito negli studi più recenti: per la Dallaj la decorazione dei due edifici sarebbe coeva, mentre per Bertelli quella della collegiata fu conclusa prima di iniziare il battistero. Secondo Boskovits56 curatore della mostra “Arte in Lombardia fra Gotico e Rinascimento”, invece, la presenza di Masolino in Lombardia è stata sopravvalutata, in virtù del fatto che i cicli di Castiglione ci son giunti pressoché integri, ma il soggiorno lombardo di Masolino, come argomenta Andrea De Marchi, dovette esser relativamente breve e non così decisivo per gli sviluppi della pittura lombarda57.

  Corollario a questo rinnovato interesse per il ciclo castiglionese, e conseguenza della scoperta del ciclo di affreschi della cappellina intitolata a San Martino nel palazzo del cardinale58, è la discussione della presenza di Vecchietta in veste di aiuto in altre imprese masoliniane, come ad esempio il ciclo romano di San Clemente: l’idea, che trova le sue radici negli scritti di Cesare Brandi, è ‘rilanciata’ dal Bertelli59, propugnata con entusiasmo dal Galay60 e accettata con minor slancio da Strehlke61 e Christiansen62.

 

  1. Studi monografici su Masaccio

  Se i restauri della Brancacci hanno incoraggiato una rivalutazione di Masolino come personalità autonoma, non più letta in simbiosi o in subordine rispetto a Masaccio, per quest’ultimo hanno prodotto una vera e propria corrente editoriale in cui Masaccio è divenuto non più soltanto uno dei padri fondatori della Rinascimento, ma anche il colorista precursore del luminismo della pittura di metà secolo.

  Si infittiscono così le monografie dedicate al valdarnese: quella di Enrico Colle (1987) nasce con l’intento di accompagnare la trasformazione della casa natale di Masaccio in sede espositiva permanente. È articolata in sezioni tematiche e pur concedendo molto rilievo ad alcune affermazioni soltanto ipotetiche, quali la formazione di Masaccio nella bottega tradizionalista di Bicci di Lorenzo, include paragrafi di analisi critica più circostanziata, come quello dedicato al polittico pisano, significativamente intitolato `Masaccio e la scultura’, poiché Masaccio a Pisa ebbe modo di apprezzare molti esempi scultorei conservati in loco. Il soggiorno romano, anche secondo Colle, ed in omaggio ad un’originaria ipotesi longhiana, vide un parziale intervento di Masaccio. Chiudono il volumetto due paragrafi sulla fortuna masaccesca fra ‘700 e ‘800 (che, con particolare riferimento alla Brancacci, sarà ripresa in considerazione in modo sistematico dalla Casazza e dalla Cassinelli63), e nel ‘90064.

  Luciano Berti (1988) redige una poderosa monografia in cui, oltre al percorso di Masaccio, offre una panoramica sulla sua fortuna presso gli artisti65 (dalla ripresa filippinesca dei lavori della Brancacci alla fine dell’Ottocento) e sull’evolversi degli studi critici (dall’Ottocento al restauro della Brancacci)66. L’anno successivo per i «Gigli dell’arte» dà vita ad un testo più snello ancora accompagnato dalle sintetiche schede della Foggi. Nel saggio introduttivo, il Berti formula alcuni pareri originali, talvolta in contrapposizione con i giudizi delle pubblicazioni che avevano accompagnato i restauri; in particolare, a suo avviso, testine, sinopie, la testa di Cristo nella scena del Tributo, e il paesaggio urbano nella Resurrezione di Tabita son da iscriversi in toto a Masolino. mentre la tavola londinese del trittico di Santa Maria Maggiore spetta all’ultimo Masaccio. Sottolinea inoltre innumerevoli richiami all’antico nell’opera e alla possibilità di un viaggio romano già nel 1423 in occasione del Giubileo67.

  La monografia di Baldini (1990) offre un sunto equilibrato delle precedenti opinioni critiche e ripropone i risultati dei restauri della Brancacci. Per il critico, il trittico di San Giovenale (rinvenuto dal Berti nel 1961) è la prima opera interamente riferibile a Masaccio; anche per lui al 1423 risale il primo viaggio di Masaccio a Roma, di cui potrebbe essere un ricordo il gesto compiuto dal personaggio in cui Masaccio si raffigura nella Predica di San Pietro, e la perduta Sagra può essere del 1424. La sinopia col Pianto di San Pietro sarebbe del 1424 e l’attribuzione a Masaccio di questa figura, costruita con grande imponenza, documenterebbe la presenza dell’artista a fianco di Masolino sin dall’inizio dei lavori. Fra gli esiti del restauro vi è la conferma dell’autografia masaccesca per le due figure di astanti in profilo a sinistra di San Pietro nel Battesimo dei neofiti e del palazzotto nella Resurrezione del figlio di Teofilo68.

  La monografia di Attilio Droandi (1993) è invece una pubblicazione divulgativa che ‘racconta’ la vicenda creativa di Masaccio soffermandosi sui legami di questi col Valdarno69. Caratteristica programmatica della poderosa monografia di Joannides (1993) è quella di sviluppare i profili dei due artisti – Masolino e Masaccio – in un costante tandem. I due sono legati in primis dalla comune origine valdarnese. Probabilmente, come asseriscono Geli e l’Anonimo Magliabechiano, Masolino apprese da Agnolo Gaddi i rudimenti dell’arte, per poi continuare con Ghiberti. Successivamente si associò con Bernardo Ciuffagni e con Paolo Uccello, a conferma del legame con Ghiberti. Forse lavorò con Starnina, come afferma ancora il Vasari, e Joannides si chiede cosa abbia fatto dopo la scomparsa di quest’ultimo: probabilmente era in Ungheria come suggeriscono le ipotesi del Procacci. Masaccio è chiamato a garantire per il legnaiolo Neri di Cenni Dolci: in quella circostanza viene definito “dipintore”.

  Il 5 giugno 1425 Masaccio è citato insieme ad un Niccolò dipintore per dorare candelabri processionali per la cattedrale di Firenze, e che fra Masaccio e Niccolò vi fosse un rapporto di collaborazione è attestato anche dalla dichiarazione al catasto del 1427. Masolino è al servizio di Pippo Spano sin dal 1° settembre 1425 e il 1426 per Masaccio è costellato di pagamenti relativi alla presenza pisana: uno dei quali, come ben noto, è recuperato da Donatello, perché Masaccio era assente da Pisa. Se il resto dei documenti è già conosciuto grazie a precedenti scavi d’archivio del Procacci70,, del Beck71 e del Fremantle72, fa eccezione la registrazione di un debito dell’entità di ben 33 fiorini della compagnia di Sant’Alberto del Carmine nei confronti di ‘Felice Brancacci e compagni setaioli’ che, per Joannides, potrebbe essere relativo alla cappella Brancacci. Nei lavori giovanili di Masolino, segnala ricordi di composizioni più antiche, oltre al legame, tangibile nella tessitura chiaroscurale degli incarnati, con alcuni pittori boemi come il Maestro dell’altare di Trebon e l’autore della Madonna Roudnice alla Galleria Nazionale di Praga.

  Joannides accetta la paternità masaccesca del trittico di San Giovenale e osserva che Masaccio, al pari di Brunelleschi e di Leonardo, era figlio di un notaio: non veniva cioè dalla tradizione artigiana dei pittori e per lui dunque l’arte era soprattutto un campo in cui innovare e sperimentare. I primi episodi di collaborazione fra Masolino e Masaccio sono riconosciuti nel trittico Carnesecchi databile verso il 1423 e nel trittico Colonna; lo studioso è certo che gli affreschi nel registro più basso della cappella Brancacci appartengano ad un momento distinto da quello del resto della decorazione. Nel ciclo romano di San Clemente non ci sarebbe bisogno di postulare la presenza di Masaccio neppure nella Crocifissione, e la Trinità sarebbe l’ultima opera di Masaccio, più complessa e più ligia agli ideali di Donatello e Brunelleschi. Joannides sottolinea infine come il continuo andarsene da Firenze di Masolino corrisponda alla sua aspirazione ad esser un pittore di corte73.

  La sezione riservata al catalogo dei due artisti è particolarmente dettagliata: non si esime né dal prendere in considerazione opere soltanto latamente connesse agli esordi di Masolino (come la Madonna col Bambino della collezione Perkins di Assisi) e Masaccio (come il rovinatissimo Santo vescovo dell’oratorio di San Lorenzo a San Giovanni Valdarno), né dal riassumere e discutere con precisione ed acribia le varie posizioni assunte dalla critica su questioni estremamente dibattute (come la cronologia della cappella Brancacci, la collaborazione di Brunelleschi all’elaborazione della Trinità o la struttura originaria della pala pisana).

  La monografia di John Spike (1995) predilige l’approccio stilistico ed appunta la propria attenzione sulla rilettura della scena con la Resurrezione del figlio di Teofilo, per la quale si avvale di una campagna fotografica ad ultrarossi ed ultravioletti realizzata nella Brancacci nel dicembre 1984. A giudizio del critico, Filippino oltre ad aver cancellato tutti i ritratti dei Brancacci per la damnatio memoriae della famiglia committente, come voleva il Brokhaus74, avrebbe introdotto il muro di fondo, proposta già smentita, come osserva il Bellosi, dalla precoce fortuna figurativa di quel motivo, già registrato dall’Angelico75. Le ortogonali della composizione si indirizzano verso il volto dell’uomo che appoggia una mano sulla spalla del figlio; evidentemente Masaccio aveva previsto una raffigurazione particolarmente significativa in quel punto. A proposito della Madonna di Washington si dice favorevole all’autografia masaccesca: si tratterebbe di un originale rovinato, anteriore alla Brancacci e concepito come omaggio a Giotto.

  Il trittico di San Giovenale è considerato opera certa, condotta all’insegna del rifiuto del tardogotico e del ritorno a Giotto; a seguire, intorno al 1423, anche per lui, cadrebbe la datazione del polittico Colonna in concomitanza col Giubileo indetto da Martino V76. La decorazione della Brancacci sarebbe stata affidata a Masolino, che avrebbe iniziato il lavoro nell’estate del 1425 senza l’assistenza di Masaccio. Spike, a differenza di Baldini e d’accordo col Berti, si mostra favorevole alle intersezioni fra Masolino e Masaccio nel ciclo del Carmine: il volto di Cristo del Tributo, come voleva il Longhi, sarebbe di Masolino; nella Predica di San Pietro, come aveva rilevato Bellosi, l’intervento di Masaccio si limita al paesaggio di fondo ed è motivato dalla volontà di creare una continuità con il paesaggio del Tributo, mentre nel San Pietro che guarisce lo storpio e Resurrezione di Tabita lo sfondo urbano sarebbe opera di Masaccio.

  Non mancano nel testo di Spike tentativi, sin troppo sottili, di rintracciare distinzioni di mano e collaborazioni: per il polittico di Pisa ipotizza nel carmelitano dal volto glabro e il mantello più pesantemente drappeggiato l’intervento di Filippo Lippi, che cominciava allora la propria carriera sotto la guida di Masaccio. Masaccio in questo periodo dovette essere impegnato in altre commissioni, visto che viene a più riprese sollecitato a finire il polittico: per Spike realizza il desco da parto di Berlino (ispirato da Donatello, o come si argomenta recentemente da Brunelleschi77) e la piccola Madonna Casini78.

  Nel 1996, Helmutt Whol fa nuovamente il punto della situazione sul percorso di Masaccio ed offre una visione accurata sulla vicenda critica, le attribuzioni discusse, e la tecnica masaccesca79.

 Intento programmatico della monografia di Franco e Stefano Borsi (1998) è quello di affiancare la ricerca storica alla metodologia filologica (nel primo capitolo si analizzano i luoghi della vita di Masaccio, dalla casa di Castelsangiovanni alla bottega fiorentina in Sant’Apollinare; nel secondo l’arte a Firenze nei primi venti-trenta anni del xv secolo per sottolineare come Masaccio e Masolino tengano conto della tradizione figurativa precedente) ed è spesso evidenziata la necessità di leggere Masaccio come un umanista consapevole del suo ruolo di innovatore. Si avanza l’ipotesi che anche Alberti possa aver contribuito in maniera sostanziale ad alcune scelte masaccesche: i concetti di historia, monumentalità, sintesi, potrebbero essergli derivati dalla concezione palesata più avanti nel De Pictura.

  Nei confronti di Brunelleschi non si tratta mai di un’imitazione, ma piuttosto di un omaggio critico. Si delinea il profilo di un Masaccio raffinato che rivela la conoscenza di dettagli architettonici romani, ponendosi un problema diverso rispetto a Brunelleschi, ossia la raffigurazione pittorica dello spazio architettonico, che porta la sua pittura ad essere una variante ricca, mondana e borghese dell’architettura brunelleschiana. Per il resto, la scansione del catalogo masaccesco prende le mosse dalle radici giottesche ravvisate nel trittico di San Giovenale e prosegue con la collaborazione masoliniana della Sant’Anna metterza. Il polittico romano è considerato un’opera giovanile, mentre nella variazione dei motivi ornamentali di quello pisano, per esempio delle aureole, si riconosce la ricerca della varietas propugnata  dagli umanisti. La Brancacci è considerata ancora in corso d’opera quando Masaccio era a Pisa. La Madonna Casini è presentata come un unicum di intimità e dolcezza all’interno della produzione masaccesca, il tondo di Berlino come un’opera borghese e la Trinità come momento conclusivo del percorso di Masaccio80.

  Nella monografia di Richard Fremantle (1998) dell’opera di Masaccio si sottolineano l’aspetto antropocentrico e la tensione al recupero di una forma di spiritualità legata al cristianesimo delle origini. Riguardo alla formazione, invece, si pone addirittura l’accento su alcune tangenze con la pittura marchigiana che Masaccio avrebbe potuto conoscere dagli esponenti di quella regione attivi a Firenze all’inizio degli anni Venti. Per il resto la chiave di lettura è poco innovativa; spiccano invece le opinioni sul restauro della Brancacci. Gli affreschi a suo avviso sarebbero stati spuliti, le ombre schiarite; si sarebbero persi i ritocchi a secco; per lo studioso sembra difficile credere che nella versione originale la cesura fra le giornate di lavoro sarebbe stata così evidente; inoltre, un livellamento eccessivo sarebbe stato prodotto fra le scene di Masolino e quelle di Masaccio. Il critico esclude che per gli affreschi romani di San Clemente si debba chiamare in causa Masaccio. Segue una schedatura sommaria delle opere di Masaccio (si mette in dubbio persino la paternità della Madonna Casini), dove più interessante appare il suggerimento di un confronto sistematico col ciclo di San Piero a Grado che, in Toscana, oltre a quello della Brancacci, è il più esteso relativo alle storie di San Pietro81.

  Forse per reazione a quest’infittirsi di monografie masaccesche, il cui rischio implicito più evidente è quello di presentare il valdarnese come una sorta di monade rivoluzionaria, si è creata la necessità di rivisitare il panorama artistico fiorentino che ne subisce l’influenza, ‘ricreando’ a volte la ‘Firenze di Masaccio senza Masaccio’ come nella mostra “L’età di Masaccio. Il primo Quattrocento a Firenze”82 (criticamente recensita da Keith Christiansen83) e in modo più discorsivo dal convegno Masaccio e il mondo della Rinascenza fiorentina tenutosi a Firenze nello stesso anno della mostra84.

  Mentre scrivo è in corso la splendida mostra “Masaccio e le origini del Rinascimento”85 dove una selezione quasi di soli capolavori — in cui gli accostamenti fra le opere sembrano davvero farle parlare con voce propria86 — illumina il ruolo di protagonista svolto da Masaccio, vicino a Brunelleschi e Donatello, vedendone i riflessi in Filippo Lippi, Paolo Uccello, Beato Angelico, Michelozzo, Masolino e persino Gentile da Fabriano.

 

  1. ‘Preistoria’ masaccesca 

  Altro problema dibattutissimo è stato quello della cosiddetta preistoria masaccesca: il tentativo di capire e ricostruire i primissimi passi di un genio che longhianamente pareva nato dalla testa di Giove, assolutamente perfetto come Minerva87. Fatta salva la rilevanza di un rapporto privilegiato e precoce con Brunelleschi e Donatello88, in questa ricerca si è dato grande valore al trittico di San Giovenale, datato 1422 e rinvenuto da Luciano Berti nel 1961. La sua autografia è stata accolta da quasi tutta la critica, ed esso mostrerebbe un Masaccio giovane, già sensibile a Donatello, ma ancora radicato nella tradizione neogiottesca, allora in voga a Firenze.

  Alcune parti più deboli del trittico, come i pannelli laterali, hanno incoraggiato (Berti, Baldini89) a ipotizzare il tirocinio artistico masaccesco nella bottega conservatrice di Bicci di Lorenzo, dove lo Scheggia, fratello minore di Masaccio, risulta documentato. Recentemente il Berti ha addirittura ricondotto a Masaccio due piccole tavole finora riferite allo stesso Bicci (San Girolamo, La Spezia, museo Amedeo Lia, inv. 274 e Sant’Agostino, già Roma, mercato antiquario), che ne mostrano i tratti più tipici, seppure condotte con buon livello qualitativo90.

  Mentre il trittico di San Giovenale è stato il fulcro di dettagliatissime indagini91 che non ne hanno risparmiato alcun aspetto (dalla scrittura in caratteri cufici sul nimbo della Vergine92, all’iconografia dei santi93, alla valenza iconografica del gruppo sacro centrale94, alla committenza95, alla scrittura del libro retto dal San Bartolomeo96 ed infine alla struttura, che inizialmente prevedeva dei pennacchi97), poche voci negli ultimi vent’anni si son dissociate dal coro che vi ravvisava un ‘Masaccio anno zero’: fra queste James Stubblebine98 e, con altri, più solidi argomenti, il Bellosi99.

  Secondo una diversa ipotesi presentata recentemente da Anna Padoa Rizzo100 e ripresa da Cecilia Frosinini e Roberto Bellucci101, Masaccio, dopo aver frequentato la scuola dell’abbaco fino ai quattordici anni, poteva aver trascorso un periodo nella bottega di cassaio del nonno, ancora aperta e ben avviata nel 1414-15.

  Per i tre anni di discepolato, invece, si potrebbe ipotizzare un legame con Nicolò di Ser Lapo dipintore, col quale è attestato nel giugno del 1425 e del quale è debitore nella portata al catasto del 1427. Di lui non si conoscono opere certe, ma si sa che, come Masaccio, era figlio di un notaio ed era molto più anziano di lui. Con Masaccio, Nicolò aveva in affitto dai monaci della Badia una bottega in Sant’Apollinare, mentre prima del 1424 divideva la bottega con un altro pittore molto anziano, Francesco di Jacopo Arrighetti, aiuto di Mariotto di Nardo in una tavola realizzata per la chiesa di Santo Stefano al Ponte.

 

  1. La Trinità

  Fra le opere di Masaccio è la Trinità ad aver acceso il dibattito sul rapporto con Brunelleschi e sul significato della prospettiva per il valdarnese. Maria Laura Cristiani Testi ne sottolinea a più riprese il carattere di risposta all’innovazione brunelleschiana in termini di “normativa compositiva, modulare, cromatica”102. Nel volume curato da Rona Goffen, si indaga l’affresco da molteplici punti di vista: conservativo (Casazza), storico/sociale (Gene Brucker) oppure concentrando l’attenzione su questioni particolari, come la struttura anatomica dello scheletro (Katharine Park) ed il rapporto fra la struttura prospettica e la tradizione astronomica medievale (Jane Andrews Aken). La Goffen ricorda come, secondo la cronaca manoscritta di Modesto Biliotti, un altare della Trinità era stato eretto da Lorenzo Cardoni durante il suo priorato (1422-1425); successore del Cardoni fu Benedetto, membro della famiglia Lenzi, forse collegata alla committenza dell’affresco. L’altare della Trinità era in relazione con la festa del Corpus Domini, istituita a Firenze nel 1425, quando un altro Lenzi, Lorenzo di Pietro, era gonfaloniere di giustizia.

  Masaccio, ispirandosi al testo di Isaia (16, 5) e alla Lettera agli ebrei (4, 16), raffigura la Trinità sotto forma di Thronum Gratiae; fa dunque ricorso ad una struttura tradizionale innovandola con la forte caratterizzazione di Maria e con una successione spazio/temporale molto complessa, quasi una gerarchia di diversi livelli in cui tuttavia la ‘piattaforma di Dio’ si appoggia su di un piano che è difficile definire, creando un senso di mistero103. La Trinità è stata oggetto di rinnovate indagini in occasione della mostra “Nel Segno di Masaccio. L’invenzione della prospettiva”: in quella sede, Janice Field analizza le linee che convergono in un punto poco sotto il gradino sul quale sono inginocchiati i donatori. Si tratta di una struttura matematica cui poi sono stati portati degli ‘aggiustamenti’, a vantaggio dell’effetto finale del dipinto104. Alcuni anni prima, infatti, la studiosa, insieme a Roberto Lunardi e Thomas Settle, aveva indagato la struttura matematica sottesa all’affresco basandosi su misurazioni dirette, constatandovi numerose infrazioni intenzionali ed avvalorando l’opinione che Brunelleschi avesse apportato il proprio contributo alla realizzazione dell’affresco105.

  Francesco Paolo di Teodoro, in considerazione della pianta, del tipo di copertura e di disposizione delle colonne, ipotizza che l’intero ambiente dipinto da Masaccio per la Trinità possa esser stato suggerito da una delle celle gemelle del tempio di Venere a Roma. Per lo studioso, l’affresco di Masaccio proporrebbe un orientamento architettonico indipendente dalle scelte di Filippo, connotandosi come primo tentativo di recupero della gravità romana, e ancora distinte dalla sensibilità di Brunelleschi sono le scelte cromatiche: si fa ricorso ad un fastoso rosso laddove le membrature architettoniche brunelleschiane sono in sobria pietra serena106. Cristina Danti ricorda le vicende del restauro107: l’affresco è in 27 giornate ed il disegno preparatorio è stato eseguito sull’intonaco con battitura di corda; con riga e compasso ed anche con spolvero. Il restauro ha recuperato i gradini su cui poggiano le figure108.

  Descrivendo le risultanze del restauro, la Danti e la Frosinini notano una definizione degli incarnati attraverso una serie di velature successive, uno scarso uso del bianco di San Giovanni ed un’ossessiva ricerca di trasposizione del modello attraverso un’ampia gamma di modalità, che leggono come una minor perizia rispetto al sistema adottato nella Brancacci, e quindi, a loro avviso, addirittura come indizio a favore di una retrodatazione dell’affresco al 1424-25109.

 

  1. Altri dibattiti e la fortuna novecentesca di Masaccio

  Un’altra opera masaccesca al centro di un vivace dibattito, sollevato dalle indagini tecniche sul supporto dei singoli pannelli che dovevano farne parte110, è il polittico carmelitano proveniente da Pisa111. In particolare, l’esame del retro delle tavole ha fatto insorgere notevoli dubbi sulla pertinenza dei due pannelli raffiguranti Sant’Andrea (Malibu, Getty Museum) e San Paolo (Pisa, Museo Nazionale di San Matteo). Su quest’ultima tavola, la prima notizia diretta è fornita dall’erudito pisano Paolo Tronci che nel 1640 la elenca tra le opere della sua raccolta, in cui era giunta come dono di Francesco Bersinghelli.

  Sempre il Tronci ricorda i Bersinghelli come patroni del secondo altare a destra della chiesa del Carmine, che probabilmente continuava i diritti di quello di ser Colino degli Scarsi112; l’alternativa, fornita recentemente dallo Strehlke, è che Masaccio potesse esser stato incaricato di realizzare un secondo polittico pisano, destinato alla cappella dei mercanti catalani sempre al Carmine113. Per il polittico, comunque, le indagini tecniche hanno rivelato altri dettagli, come le notevoli modifiche apportate nella Crocifissione quando era già stata stesa la foglia d’oro, e un’intenzionalità luminosa molto più spiccata rispetto a quanto vediamo oggi (anche nel manto bianco dei frati era stata usata una lacca d’argento, e si era interposta una sottile linea color crema fra il fondo oro ed il manto del santo).

  Non mancano i tentativi di lettura del linguaggio di Masaccio in chiave di storia sociale; quello di Marco Fidolini, tuttavia, assume come punto di partenza per capire le ribellioni di Masaccio un brano per il quale proprio i recenti restauri hanno confermato l’autografia masoliniana: lo scenario urbano della Guarigione dello storpio e Resurrezione di Tabita. Fidolini va alla ricerca di rimandi psicologici e valenze sociali e ritrova nella produzione del valdarnese prototipi giotteschi, ma rivissuti con intensa partecipazione umana114. Franco Cossu, in un breve saggio, sostiene che mentre Giotto appartiene e parla ad un mondo ancora sottoposto a Dio, nell’universo di Masaccio invece il mercante ha una sua austera dignità. Masaccio è il frutto della borghesia, ma essa non si identifica con lui, poiché non ha coscienza di sé, perciò opta per Masolino e Gentile da Fabriano115.

  In questi ultimi anni si registrano anche alcuni accenni116, o veri e propri studi, mirati a letture iconografiche/iconologiche dell’opera masaccesca. L’articolato saggio di Timothy Verdon117, infatti, rilegge la Sant’Anna metterza, notando l’isolamento psicologico dei tre personaggi, le possibili valenze civiche (in ricordo della presa della città da parte di Gualtieri di Brienne e della sua successiva liberazione), ma anche il valore simbolico del rapporto fra le monache benedettine e la badessa, la relazione con l’altar maggiore dedicato al Corpus Domini e, come aveva già sottolineato Eve Borsook,118 ai due culti cari alle monache di Sant’Ambrogio, la Transustanziazione e l’Immacolata Concezione. Ancora in quest’ottica, lo studio di Luba Freedman rilegge i gesti dei personaggi che animano la scena con San Pietro che guarisce con l’ombra come allusivi a quelli dei partecipanti ad una funzione liturgica di cui Pietro sarebbe il celebrante119, e quello di Carlo del Bravo appunta la sua attenzione sulla tavoletta della bottega masaccesca, oggi al museo di Altenburg, dove l’unione fra l’ Orazione nell’orto e il san Girolamo penitente starebbe ad indicare in una rigorosa vita eremitica la via per vincere le tentazioni che ancora hanno la meglio sui discepoli sopraffatti dal sonno120.

  Alcune pubblicazioni si incentrano su opere perdute di Masaccio: è il caso di un breve articolo di Joannides121 che riferisce a Masaccio un disegno del Gabinetto degli Uffizi (30F) collegandolo al dipinto ricordato da Vasari come parte della collezione di Palla Rucellai122. Il testo di Divo Savelli riassume ciò che sappiamo sulla raffigurazione masaccesca della Sagra del Carmine, dipinta in terra verde nel primo chiostro, intorno al 1424, per rievocare la consacrazione della chiesa avvenuta nel 1422, andata distrutta durante la ristrutturazione iniziata nel 1597 e della quale si conservano sei disegni cinquecenteschi che ne riproducono alcuni particolari123. Non mancano inoltre analisi dettagliate su opere masaccesche particolarmente discusse come i ritratti e la Madonna dell’Umiltà della National Gallery di Washington.

  Se nel primo caso lo studio del Boskovits, valendosi degli strumenti della filologia, riafferma la paternità masaccesca per il ritratto della National Gallery di Washington e quello dell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, (mentre assegna a Domenico Veneziano quello del Musée des Beaux Arts di Chambéry124), per la Madonna di Washington le più recenti analisi riflettografiche paiono attestare almeno un disegno masaccesco125. Fra le acquisizioni documentarie, spicca la recentissima individuazione del committente della Sant’Anna metterza nel tessitore di drappi serici Nofri del Brutto Buonamici, dovuta alle ricerche di Alessandro Cecchi126.

  Infine andrà ricordato il tentativo di misurare l’impatto della genialità masaccesca fuori dal suo tempo: attraverso la capacità di calamitare la curiosità di copisti ed incisori o le rivisitazioni degli artisti del Novecento127. “Masaccio e il Novecento” è il titolo programmatico di un’esposizione tenutasi nel 2001. Secondo la curatrice, Paola Cassinelli, sono molti gli artisti che inconsciamente, o più consapevolmente, hanno raccolto l’eredità di Masaccio. Oltre a Carlo Carrà ed Ardengo Soffici, ad interessarsi a questo recupero di Masaccio tramite una riflessione sul concetto di realtà sono anche Mafai, Scipione, Pirandello, Melli, Ziveri, Cagli, Capogrossi, Cavalli, Afro. Riviste su cui si svolgono alcune tappe di questo dibattito oltre a «Valori Plastici» (1918-1922) e «La Voce», sono «Quadrivio» e «Quadrante»128.

  Come sottolinea ancora la Cassinelli, riconoscendone un riflesso in opere di artisti novecenteschi, e come (molto più della lettura dei testi critici) ci conferma l’osservazione di una qualsiasi delle sue opere, caratteristica importante dell’arte di Masaccio fu anche il recupero delle umane emozioni.

 

Ringraziamenti

Desidero esprimere il mio debito di gratitudine nei confronti dell’Istituto Germanico di Firenze per la cordiale e generosa accoglienza, anche durante la redazione di questo contributo.

Grazie inoltre a Vincenzo Farinella e Andrea Baldinotti per la costante collaborazione.

La suggestione per questo titolo (che intende riferirsi all’accordo, così come al contrasto, fra il linguaggio di Masaccio e quello di Masolino, sia nei momenti di collaborazione fra i due artisti che in quelli in cui si espressero autonomamente) viene da E. Montale, Dialogo, in E. Montale. Tutte le poesie, a cura di G. Zampa, Arnoldo Mondadori, Milano 1984, p. 335.

 

Note

1 P. S. Mattei, Ragionamento intorno alla antica chiesa del Carmine di Firenze con una succinta notizia dello stato suo presente, Firenze 1869, p. 55.

2 Sintetizzate in The Panel Painting of Masolino and Masaccio. The Role of Technique, a cura di C. B. Strehlke e C. Frosinini, 5Continents Editions, Milano 2002. Se in molti casi una rigorosa analisi tecnica dei supporti del sotto disegno e dei pigmenti 10621 nei dipinti apporta notevoli chiarimenti  sulla loro elaborazione, in altri, come per il desco da parto di Berlino, può risultare fuorviante rispetto alle ragioni dello stile.

3 Fa eccezione il restauro della cappella di Santa Caterina nella basilica di San Clemente, al quale è stato dedicato soltanto un ‘pieghevole’ con testo a firma di G. Tamanti, C. Mora, B. Provinciali e A. Soavi, una scheda riassuntiva in S. Röttgen, Italian Frescoes. The Early Renaissance 1400-1470, Abbeville Press, New York 1996, pp. 117-35 (nello stesso testo, riedito in lingua italiana nel 1998 per i tipi della Panini di Modena, cfr. pure le schede del ciclo della Brancacci e di quelli a Castiglione Olona, pp. 92-117 e 136-65) ed infine un resoconto tecnico dell’intervento di restauro in Materiali e tecniche nella pittura murale del Quattrocento: storia dell’arte, indagini diagnostiche e restauro verso una nuova prospettiva di ricerca, vol. 2, parte 1: Inchiesta sui dipinti murali del XV secolo in Italia sotto il profilo delle indagini conoscitive in occasione dei restauri (1975-2000). Schede analitiche, a cura di C. Seccaroni, Roma 2002, pp. 39-51 (scheda a cura di G. Tamanti, C. Mora e B. Provinciali).

4 U. Baldini, Prime risultanze per il restauro, in La Cappella Brancacci nella chiesa del Carmine a Firenze, «Quaderni di Restauro», 1, Milano 1984, pp. 23-29.

5 Nello stesso anno cfr. anche U. Baldini, Dalla Scoperta di San Giovenale a quella della Brancacci, in I pittori della Brancacci, «Gli Uffizi/I pieghevoli: Studi e Ricerche», 5, Firenze 1988, riedito in Masaccio 1422/1989. Dal Trittico di San Giovenale al Restauro della Cappella Brancacci, atti del convegno (22 aprile 1989, Pieve di San Pietro a Cascia-Reggello), Figline Valdarno 1990, pp. 11-16.

6 U. Baldini, Del tributo ed altro del Masaccío, in «Critica d’Arte», serie V, LIV, 20, 1989, pp. 29-38. Cfr. anche P. A. Rossi, Lettura del Tributo di Masaccio, ivi, pp. 39-42, per uno studio della struttura prospettica sottesa alla scena del Tributo, volto a dimostrare l’impaginato brunelleschiano antecedente alla Trinità di Santa Maria Novella.

7 U. Baldini, Restauro della Cappella Brancacci, primi risultati, in «Critica d’Arte», IV serie, LI, 9, 1986, pp. 65-68.

8 O. Casazza, Il ciclo delle Storie di San Pietro e la “Historia Salutis”, nuova lettura della Cappella Brancacci, in «Critica d’Arte», IV serie, LI, 9, 1986, pp. 69-84.

9 U. Baldini, Tommasino e Tommasaccio. Due del Valdarno, in «FMR», 80, 1990, pp. 46-65. 

10 O. Casazza, I restauri della Cappella Brancacci, in «FMR», 80, 1990, pp. 70-76.

11 V. Sgarbi, Il terzo maestro, in «FMR», 80, 1990, pp. 66-70.

12 Il dibattito è attestato da una serie di articoli sul quotidiano «La Nazione»: Cappella Brancacci / Rimetterci l’altare del ‘700 è un vero scandalo (intervista di S. Causa a Federico Zeri) 15 novembre 1989, p. 8; C. Cresti, Cappella Brancacci / Una proposta. Di quell’altare farne un paravento, 15 novembre 1989, p. 8; A. Paolucci, È già deciso, 15 novembre 1989, p. 9; P. A. Rossi, Cappella Brancacci / Una proposta facciamola vedere vuota, 23 novembre 1989, p. 10; Giovanni Nardi, Restauri e Valori. Bisogna innanzitutto rispettare le opere d’arte, 23 novembre 1989, p. 11.

13 U. Baldini e O. Casazza, La Cappella Brancacci, Olivetti-Electa, Milano 1990.

14 R. Foggi, Descrizione della Cappella Brancacci, in La Chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, a cura di Luciano Berti, Firenze 1992, pp. 207-34. 

15 A. Ladis, The Brancacci Chapel – Florence, George Braziller, New York 1993.

16 Oggi non si accede più alla Brancacci dall’interno della chiesa, ma dal chiostro, previo pagamento di un biglietto. J. Beck, La cappella Brancacci e la Trinità di Masaccio, in James Beck con Michael Daley, Restauri, Capolavori e Affari, Marco Nardi, Firenze 1993, pp. 31-58 (traduzione e riedizione di Art Restoration. The culture, the business and the scandal, John Murray, London 1993).

17 A. Paolucci, Masaccio e Masolino: antagonisti e complementari, in Masaccio e il mondo della rinascenza fiorentina, Città di Vita, Firenze 1990, pp. 97-110. Per la genesi del celebre saggio del 1940 (R. Longhi, Fatti di Masolino e di Masaccio, in «La Critica d’Arte», XVIII-XIX, 25-26, 1940, pp. 14591) cfr. R. Longhi, Vexata Quaestio (La collaborazione di Masolino e Masaccio) [1925-26], in Il Palazzo Non Finito. Saggi inediti 1910-1926, a cura di F. Frangi e C. Montagnani, Electa, Milano 1995, pp. 463-95.

18 Cfr. infra le note 30 e 41.

19 Come segnalato nella monografia del Berti (cfr. infra nota 66) il riconoscimento si deve a Luciano Bellosi, mentre il dibattito sull’inserto masoliniano nella scena del Tributo inizia col celebre saggio longhiano del 1940 (cfr. nota 17).

20 Generalmente, o si lasciano nell’anonimato o si fanno i nomi di Andrea di Giusto e dello Scheggia.

21 K. Christiansen, Some Observations on the Brancacci Chapel Frescoes after their cleaning, in «The Burlington Magazine», CXXXIII, 1054, 1991, pp. 4-20. 

22 K. Shulman, Anatomy of a Restoration. The Brancacci Chapel, Walker and Company, New York 1991.

23 U. Procacci, Masaccio, in onore del Novantesimo compleanno di Mario Salmi, Olschki, Firenze 1980 (testo della conferenza tenuta all’Accademia Petrarca di Arezzo il 26 aprile 1979). 

24 U. Procacci, Masaccio e la sua famiglia negli antichi documenti, in La Storia del Valdarno, vol. II, 1981, pp. 553-59. 

25 U. Procacci, Le portate al catasto di Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, in «Rivista d’Arte», XXXVII, 1, 1984, pp. 236-57.

26 U. Procacci, La Cappella Brancacci: vicende storiche, in La Cappella Brancacci nella chiesa del Carmine a Firenze, «Quaderni di Restauro», 1, Milano 1984, pp. 9-21.

27 E. Wakajama, Masolino o non Masolino: problemi di attribuzione, in «Arte Cristiana», LXXV, 719, 1987, pp. 125-36.

 28 J. Manca, A Remark by Pliny the Elder as a Source for Masolino’s Landscape in Castiglione Olona, in «Arte Cristiana», LXXV, 719, 1987, pp. 81-84.

 29 P Bocci Pacini, Umanesimo in Masolino, in I pittori della Brancacci agli Uffizi, Centro Di, Firenze 1988, pp. 19-32.

 30 M. Boskovits, Il Percorso di Masolino: precisazioni sulla cronologia e sul catalogo, in «Arte Cristiana», LXXV, 718, 1987, pp. 47-66.

 31 C. B. Strehlke e M. Tucker, The Santa Maria Maggiore Altarpiece: New Observations, in «Arte Cristiana», LXXV, 719, 1987, pp. 105-124.

 32 P. Joannides, The Colonna Triptych by Masolino and Masaccio: Collaboration and Chronology, in «Arte Cristiana», LXXVI, 728, 1988, pp. 339-46.

 33 R. Mairead O’Foghludha, Roma Nova: The Santa Maria Maggiore Altarpiece and the Rome of Martino V, (Ph.D. diss., Columbia University 1998) Ann Arbor 1998; per la cultura artistica romana di quegli anni ed il ruolo svolto da Masolino (e Masaccio) cfr.V. Farinella, Un percorso nella cultura artistica romana (1423-1622), in Roma nel Rinascimento, a cura di A. Pinelli, Laterza, Bari 2001, pp. 337-401.

 34 C. B. Strehlke e M. Tucker, The Santa Maria Maggiore Altarpiece, in The Panel cit., pp. 111-29.

 35 Cfr. Masolino a Empoli, catalogo della mostra a cura di R. C. Proto Pisani, Tipolito Zannini (Empoli, settembre 1987), Castelfiorentino 1987.

 36 L. Bellosi, A proposito del disegno dell’Albertina (dal Ghiberti a Masolino), in Lorenzo Ghiberti nel suo tempo, atti del convegno internazionale di studi (Firenze, 18-21 ottobre 1978), Olschki, Firenze 1980, pp. 135-45.

 37 B. Baert, Twilight between traditions and innovation. The Iconography of the Cross-legend in the Sinopie of Masolino da Panicale at Empoli, in «Storia dell’Arte», 99, 2000, pp. 516.

 38 L’analisi iconologica di Vayer (Problemi iconologici della pittura del Quattrocento. Cicli di affreschi di Masolino da Panicale, in «Acta Historiae Artium», XXXI, 1, 1985, pp. 5-30) si estende anche al ciclo castiglionese e nasce in gran parte dalla sintesi del testo pubblicato dall’autore in lingua ungherese vent’anni prima (Idem, Masolino és Roma. Mecénás és művész a reneszánsz kezdetén, Kepzomuveszeti alap kiadóvállalata, Budapest 1962).

 39 G. Damiani, La chiesa quattrocentesca: ipotesi di ricostruzione, in Giovanna Damiani e Anna Laghi (a cura di), San Niccolò Oltrarno, la chiesa, una famiglia di antiquari, vol. I, Officine Grafiche, Firenze 1982, pp. 58-59.

 40 P. Joannides, A Masolino partially reconstructed, in «Source», IV, 4, 1985, pp. 1-5.

 41 L. Bellosi, Masolino da Panicale (Tommaso di Cristoforo Fini), in Dizionario della pittura e dei pittori, a cura di E. Castelnuovo e B. Toscano, Einaudi, Torino 1992, vol. 3, pp. 538-39; la voce Masaccio di S. Castri (ivi, pp. 532-36) è invece soltanto una sintesi delle conoscenze acquisite.

42 P. L. Roberts, Masolino da Panicale, Clarendon Press, Oxford 1993.

 43 R. Bellucci e C. Frosinini, The Carnesecchi Altarpiece, in The Panel cit., pp. 81-87; cfr. inoltre C. B. Strehlke, schede 18-19, in Masaccío cit., pp. 152-57: resta aperto il problema della destinazione e collocazione originaria della tavoletta di Montauban.

 44 Cfr. infra nota 50. Puntigliosa, ma spesso esclusivamente descrittiva, è la disamina di M. J. Bradshaw-Nishi, Masolino’s Saint Catherine Chapel, San Clemente, Rome: Style, Iconography, Patron, and Date (Phd. diss. Indiana University 1984), Ann Arbor 1985.

 45 Sostenuta da F. Gurrieri e R. Cecchi, Masolino da Panicale e la chiesa di Villa a Castiglione Olona, in «Bollettino d’Arte», XLIII, 72, 1987, pp. 93-108.

 46 Dello stesso autore una lettura iconografica del trittico romano per Santa Maria Maggiore in riferimento all’omelia dell’Ascensione di Gregorio Magno (P. L. Roberts, St. Gregory the Great and the Santa Maria Maggiore altar-piece, in «The Burlington Magazine», CXXVII, 982-993, 1985, pp. 295-96).

 47 P. L. Roberts, A Newly Recovered Painting by Masolino da Panicale, in «Artibus et Historiae. An Art Anthology», XIX, 38, 1998, pp. 171-77; si veda ora M. Boskovits, in Masaccio cit., pp. 158-59 che propone una datazione agli anni Trenta, in prossimità del ciclo romano di San Clemente.

Ellen Callman (Masolino da Panicale and Florentine Cassone Painting, in «Apollo», 450, 1999, pp. 42-48) attribuisce invece a Masolino, datandoli verso la fine degli anni Venti, il cassone con i Regni di Amore della Yale University di New Haven e quello del Museum of Art di Springfield con Storie di Callisto, riferiti in precedenza, ad avviso di chi scrive giustamente, a Paolo Schiavo.

48 M. Ferro, Masolino da Panicale e gli affreschi perduti dí Montegiordano, in «La Diana. Annuario della Scuola di specializzazione in Archeologia e Storia dell’Arte dell’Università degli Studi di Siena», I, 1995, pp. 95-125; S. Tomasi Velli, Scipio’s Wounds, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», LVIII, 1995, pp. 216-34; M. Gagliardo, Una raccolta di “scripta” dallo “studio” del cardinale Giordano Orsini e gli affreschi delle Sei Età del Mondo nel suo palazzo romano, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», serie IV, 1-2, 1996, pp. 107-18.

 49 K. Christiansen, Masolino da Panicale, in The Dictionary of Art, a cura di J. Turner, Macmillan Publishers Limited, London 1996, vol. XX, pp. 553-59.

 50 C. Bertelli, Masolino. Gli affreschi del Battistero e della Collegiata a Castiglione Olona, Skira, Milano 1997.

 51 L. Magugliani, Uno studio sui rapporti fra Gotico Cortese e Rinascimento in Lombardia: Masolino a Castiglione, Stamperia Ambrosiana, Roma 1980; il radicamento gotico di Masolino è evocato anche in F. Jennarelli, I volti negli affreschi di Masolíno a Castiglione Olona, fotografie di Alberto Lavit e L. Soldano. Baldini, Milano 1987.

 52 Per una lettura diametralmente opposta della stessa fonte (in T. Foffano, La costruzione di Castiglione Olona in un opuscolo inedito di Francesco Pizolpasso, in «Italia Medioevale e Umanistica», 1960, pp. 153-87) cfr. C. Bertelli. Masolino cit., p. 26.

 53 A. Dallaj, Masolino da Panicale. Le Storie di Maria e del Battista a Castiglione Olona. Destinazione e schemi compositivi, Unicopli, Milano 1986: per una diversa posizione cfr. Joannides Masaccio and Masolino: A Complete Catalogue, Phaidon Press. Londra 1993.

54 P. Joannides, Masolino a Castiglione Olona: il Battistero e la Collegiata, in Arte in Lombardia tra Gotico e Rinascimento, catalogo della mostra a cura di M. Boskovits. Fabbri, Milano 1988, pp. 284-97. 

55 F. Mazzini, Stacco e ricollocamento di affreschi di Masolino nel Battistero di Castiglione Olona: Le sinopie, in «Arte Cristiana», LXXV, 719, 1987, pp. 85-98.

56 M. Boskovits, Arte lombarda del primo Quattrocento: un riesame, in Arte cit., pp. 25, 29.

 57A. De Marchi, Meteore in Lombardia: Gentile da Fabriano a Pavia e a Brescia, Pisanello a Mantova, Masolino e Vecchietta a Castiglione Olona, in La Pittura in Lombardia. Il Quattrocento, Electa, Milano 1993, pp. 303-14.

 58 Su quest’ultima cfr. C. Bertelli, Masolino e il Vecchietta a Castiglione Olona, in «Paragone», XXXXIII, 451, 1987, pp. 25-47 e Idem, La cappella del palazzo Branda Castiglioni, in Arte cit., pp. 297-303.

 59 C. Bertelli, Masolino cit., pp. 2547; lo stesso autore (ibidem) presuppone un intervento sostanziale del Vecchietta anche nel paesaggio affrescato nel palazzo del cardinale.

 60 L. Galay, ‘Vecchietta de Senis’. Notes sur Lorenzo di Pietro entre Rome et Sienne, in Florilegium. Scritti di Storia dell’Arte in onore di Carlo Bertelli, Electa, Milano 1995, pp. 98-103.

 61 C. B. Strehlke, Vecchietta, in K. Christiansen, C. Kanter e C. B. Strehlke, La Pittura Senese del Rinascimento 1420-1500, Amilcare Pizzi, Milano 1989, p. 72.

 62 K. Christiansen, Pittura senese del Rinascimento, in La Pittura cit., pp. 16 e 35 n. 14.

 63 O. Casazza e P. Cassinelli Lazzeri, La Cappella Brancacci, conservazione e restauro nei documenti della grafica antica, Panini, Modena 1989.

 64 E. Colle, Masaccio, Grifo, Montepulciano (Siena) 1987.

 65 Su questo tema cfr. E Ames-Lewis, Masaccio’s Legacy, in The Cambridge Companion to Masaccio, a cura di D. Cole Ahl, Cambridge University Press, Cambridge 2002, pp. 202-15. 

66 L. Berti, Masaccio, con un saggio sui restauri di U. Baldini, schede delle opere di R. Foggi, Cantini, Firenze 1988.

67 L. Berti e R. Foggi, Masaccio, Cantini, Firenze 1989.

68 U. Baldini, Masaccio, Edizioni d’arte il Fiorino, Firenze 1990.

69 A. Droandi, Masaccio. Pittore di Valdarno, Alberti & co, Arezzo 1993.

70 Oltre agli studi già citati ricordo ancora U. Procacci, Nuove testimonianze su Masaccio, in «Commentari», 27, 1976, pp. 223-37.

71 J. Beck (con la collaborazione di G. Corti), Masaccio: The Documents, J.J. Augustin, New York 1978. 

72 R. Fremantle, Some Documents concerning Masaccio and his Brother’s Second Family, in «The Burlington Magazine», CXV, 1973, p. 518; Idem, Some New Masolino Documents, in «The Burlington Magazine», CXVII, 1975, p. 69 

73 P. Joannides, Masaccio and Masolino: A Complete Catalogue, Phaidon Press, Londra 1993.

74 H. Brokhaus, Die Brancacci-Kapelle in Florenz, in «Mitteilungen des Kunsthistorisches Institut in Florenz», 1919-1932, pp. 160-82.

75 L. Bellosi, Da Brunelleschi a Masaccio: le origini del Rinascimento, in Masaccio e le origini del Rinascimento, a cura di L. Bellosi con la collaborazione di L. Cavazzini e A. Galli, Skira, Milano 2002, pp. 40-41.

76 La correlazione del polittico romano al Giubileo del 1423 è argomentata in dettaglio da A. Scafi, Il Giubileo della Rinascita: Masolino e Masaccio, in Arte a Roma. Pittura, scultura, architettura, nella storia dei giubilei, a cura di M. Calvesi, Rizzoli, Milano 1999, pp. 19-27, ma cfr. infra nota 85.

77 R. Carvahlo De Magalhaes, Fatti di Brunelleschi e di Masaccio, in «Critica d’Arte», LXV, 13, 2002, pp. 67-81.

78 J. T. Spike, Masaccio, Fabbri, Milano 1995 e riedizione economica, Milano 2002. 

79 H. Wohl, Masaccio, in The Dictionary of Art, a cura di J. Turner, New York, vol. XX, 1996, pp. 52939.

80 F. e S. Borsi, Masaccio, Hazan, Paris 1998.

81 R. Fremantle, Masaccio. Catalogo completo, Octavo Franco Cantini, Firenze 1998.

82 A. Paolucci, Firenze 1400-1420: la stagione delle ‘attitudini’ e degli ‘affetti’, in L’età di Masaccio. Il primo Quattrocento a Firenze, a cura di L. Berti e A. Paolucci, Electa, Milano 1990, pp. 19-32.

In particolare Paolucci ritiene che la Madonna dell’Umiltà Contini Bonacossi, per lui opera certa di Masolino intorno al 1420, sia il risultato più alto che la civiltà gotica potesse produrre in Firenze in termini di verità di pelle e di tenerezza sentimentale. L. Berti, Il decennio di Masaccio, in L’età cit., pp. 33-43.

Su    di    un   ‘raffronto’ tra l’Annunciazione di Montecarlo di Angelico e il trittico di San Giovenale di Masaccio, opere coeve sottoposte a restauro negli stessi anni, si incentrava la piccola mostra Masaccio e l’Angelico, due capolavori della diocesi di Fiesole, a cura di M. Lotti, testi di E. Micheletti e M. Lenzini Moriondo (Fiesole, Palazzina Mangani, 26 maggio – 2 settembre 1984), Fiesole 1984.

83 K. Christiansen, Florence: Masaccio and the ‘Pittura di luce’, in «The Burlington Magazine», CXXXII, 1051, 1991, pp. 736-39.

84 Particolarmente significativi in quel contesto gli interventi di L. Berti, Masaccio 1990, in Masaccio e il mondo cit., pp. 81-92 e A. Paolucci, cit. a nota 17.

85 Masaccio cit., dove fra i saggi è particolarmente chiarificatore L. Bellosi, Da Brunelleschi a Masaccio: le origini del Rinascimento, pp. 15-52, anche in riferimento alla datazione del trittico romano in cui Masaccio mise mano al termine della propria carriera.

86 Se tutta la mostra regge questa definizione, l’apice è raggiunto dall’ultima sala dove intorno allo Spiritello Jacquemart André di Donatello (cfr. F. Caglioti, scheda 37, in Masaccio cit., p. 214-17) si occhieggiano capolavori di Paolo Uccello, Filippo Lippi, Luca della Robbia.

87 In altro senso, con uno sguardo a volo d’uccello sulla produzione dei pittori fiorentini attivi negli anni Venti, si muove M. Boskovits (Appunti sugli inizi di Masaccio e sulla pittura fiorentina del suo tempo, in Masaccio cit., pp. 53-73) che ricorda anche la possibilità che sia stato Mariotto di Cristofano, compaesano e poi cognato di Masaccio, il primo maestro del geniale valdarnese.

88 È lo Joannides a ribadire, talvolta anche un po’ puntigliosamente, la derivazione da esempi di scultura minore donatelliana di alcune delle creazioni masaccesche: P. Joannides, Masaccio, Masolino and `minor’ Sculpture, in «Paragone», XXXVIII, 451, 1987, pp. 3-24.

89 U. Baldini, Primi fatti di Masaccio e di Masolino (1422-24), in «Critica d’Arte», serie V, LIV, 19, 1989, pp. 27-33.

90 L. Berti, Dietro certe tracce masaccesche, in Masaccio. Il trittico di San Giovenale e il primo Quattrocento fiorentino, a cura di Caterina Caneva, Federico Motta, Milano 2001, pp. 139-51 ora riproposto in L. Berti, Intervista masaccesca 2002, in «Critica d’Arte», LXV, 13, 2002, pp. 23-50. Secondo lo stesso studioso tre piccole tavole di predella da lui riferite allo ‘Scheggia nella bottega di Bicci di Lorenzo’ ed appartenenti al museo Stibbert di Firenze, sarebbero state la predella del trittico di San Giovenale.

91 Un sunto bibliografico completo si trova nella tesi pubblicata di A.S. Göing, Masaccio? Die Zuschreibung des Triptychons von San Giovenale, G. Olms, Hildeheim-Zurich-New York 1996.

92 M. Salem Elsheihk, Masaccio e la Madonna di San Giovenale, in Il Trittico cit., pp. 251-53. E Cardini, Un esercizio di orientalismo? A proposito della “Shahada” sul nimbo della Vergine, ivi, pp. 231-39. A. M. Fortuna, Ancora sulle aureole del trittico di San Giovenale, ivi, pp. 209-13.

93 G. Leoncini, Introduzione ad una lettura del Trittico di San Giovenale, ivi, pp. 241-49.

94 J. Beck, Masaccio’s Madonnas, ivi, pp. 27-35.

95 Secondo I. Beccattini (Il territorio di San Giovenale e il Trittico di Masaccio. Ricerche e ipotesi, ivi, pp. 17-26) dovuta alla famiglia Castellani di Firenze, ipotesi contraddetta da A. Padoa Rizzo, Gli esordi di Masaccio: committenti e fruitori, ivi, pp. 155-60.

96 L. Bardeschi Ciulich, La scrittura di Masaccio, ivi, pp. 205-207.

97 R. Bellucci e C. Frosinini, The San Giovenale Altarpiece, in The Panel cit., pp. 69-87.

98 J. H. Stubblebine, Early Masaccio: A Hypothetical, Lost Madonna and a Disattribution, in «Art Bulletin», LXII, 2, 1980, pp. 217-25. Come lo Stubblebine anche Piero Pacini ipotizza l’esistenza di un perduto prototipo masaccesco a suo avviso riflesso in un rovinato affresco cortonese prossimo a Bicci di Lorenzo (P. Pacini, Un nuovo affresco cortonese e un problema masaccesco, in «Antichità Viva», XXVIII, 4, 1989, pp. 7-14).

99 L. Bellosi, Il Maestro del Cassone Adimari e il suo grande fratello, in L. Bellosi e M. Haines, Lo Scheggia, Maschietto e Musolino, Firenze-Siena 1999, pp. 31-33. Si tratterebbe dell’opera di un subalterno responsabile anche del retro del desco di Berlino, un aiuto di bottega che esegue intuizioni di Masaccio e dal quale dipende anche la pittura dello Scheggia, perchè i legami fra le opere più antiche di qúest’ultimo (come l’Annunciazione di Badia a Soffena, o la Madonna col Bambino e due angeli del Museo Horne) e il trittico di Reggello sono ancora più diretti di quelli che si possono cogliere con le opere di Masaccio. Masaccio, quindi, già nel 1422 sembrerebbe esser pittore affermato e con una propria bottega.

100 Conferenza dal titolo L’educazione di Masaccío. Documenti, problemi, proposte tenuta al Kunsthistorisches Institut di Firenze il 9 aprile 2002 e riproposta in sede di stampa (A. Padoa Rizzo, Sulla “educazione di Masaccío”, in Masaccio cit., pp. 77-82).

101 C. Frosinini e R. Bellucci, Working Together: Technique and Innovation in Masolino’s and Masaccío’s Panel Painiíngs, in The Panel cit., pp. 29-67.

102 M. L. Cristiani Testi, Di Masaccío. Struttura e autografia nella Trinità dí Santa Maria Novella, in Studi di Storia dell’arte in onore dí Roberto Salvini, Sansoni, Firenze 1984, pp. 271-79 e Eadem, Masaccio-Prospettiva colore luce, in «Critica d’Arte», LXV, 13, 2002, pp. 51-66.

103 Masaccio’s Trinità, a cura di R. Goffen, Cambridge University Press, Cambridge 1998. 

104 J.V. Field, La costruzione prospettica della Trinità, in Nel Segno di Masaccio. L’invenzione della prospettiva, a cura di Filippo Camerota, Giunti, Firenze 2001, pp. 41-45.

105 J. V Field, R. Lunardi e T. B. Settle, The Perspective scheme of Masaccio’s Trinity fresco, in «Nuncius», IV, 2, 1989, pp. 31-118.

L’ipotesi di L. Lieberman, Brunelleschi e Masaccio in S. Maria Novella, in «Memorie domenicane», XII, 1981, pp. 127-139, è invece che l’affresco di Masaccio fosse proprio l’esito della mancata realizzazione di un progetto brunelleschiano, una cappella alla quale doveva esser destinato il Crocifisso ligneo della cappella Gondi.

106 F. P. di Teodoro L’Architettura della Trinità, in Nel Segno di Masaccio cit., pp. 47-51.

107 Per un’indagine tecnica preliminare al restauro, cfr. invece M. Mascii, Trinità di Masaccio nella chiesa di Santa Maria Novella, Arti Grafiche Giorgi e Gambi, Firenze 1995.

108 C. Danti, Il restauro della Trinità, in Nel Segno di Masaccio cit., pp. 53- 56 e C. Frosinini, Introduzione storico artistica, in Il Restauro della Trinità, cd-rom consultabile presso la chiesa di Santa Maria Novella e l’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze.

 109 C. Danti, in Materiali cit., pp. 31-38.

 110 Fra le iniziative di questi ultimi anni si segnala “Masaccio. The Pisa Altarpiece”, mostra tenutasi alla National Gallery di Londra, fra il 12 settembre e 1’11 novembre 2001. Pur non essendo accompagnata da un catalogo scientifico, la mostra è stata l’occasione per vedere riuniti i vari pezzi masacceschi ricondotti allo smembrato altare pisano, con l’aggiunta di tre rilievi donatelliani del Victoria and Albert Museum (Ascensione e Consegna delle chiavi; e due Madonne col Bambino ovali in marmo e stucco di scuola donatelliana) introdotti come confronto.

111 J. Dunkerton e D. Gordon, The Pisa Altarpiece, in The Panel cit., pp. 89-109.

112 M. Burresi e A. Caleca, Tommaso di Giovanni di Mone Cassai, detto Masaccio, in Nel secolo di Lorenzo. Restauri di opere d’arte del Quattrocento, a cura di M. Burresi, Pacini, Pisa 1992, pp. 91-96.

113 C. B. Strehlke, The Case for Studying Masolino’s and Masaccio’s Panel Paintings in the Laboratory, in The Panel cit. pp. 18-19.

114 M. Fidolini, Masaccio. L’occhio ribelle e la coscienza critica, Netcons, Firenze 2001.

115 F. Cossu, Masaccio e Botticelli, immagini dal sociale, Tipografia Editrice Pisana, Pisa 1982.

116 J..Manca, Sacred Vs. Profane: Images of Sexual Vice in Renaissance Art, in «Studies in Iconography», 1989-90, p. 171.

117 T. Verdon, La Sant’Anna Metterza: riflessioni, domande, ipotesi, in I Pittori della Brancacci agli Uffizi, Centro Di, Firenze 1988, pp. 33-58.

118 E. Borsook, Cults and Imagery at Sant’Ambrogio in Florence, in «Mitteilungen des kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXV, 2, 1981, pp. 147-202 (interessa pp. 148-62 e p. 183 nn. 233-46). 

119 L. Freedman, Masaccio’s St. Peter Healing with his Shadow: a Study in Iconography, in «Notizie da Palazzo Albani», XIX, 2, 1990, pp. 13-30.

120 C. Del Bravo, Un’osservazione su Masaccio, in Studi di storia dell’arte sul Medioevo e il Rinascimento nel centenario della nascita dí Mario Salmi, atti del convegno internazionale (Arezzo – Firenze, 16-19 novembre 1989), Polistampa, Firenze 1992, vol. II, pp. 555-57.

121 P. Joannides, Masaccio: a lost Painting and a Drawing, in «Arte Cristiana», LXXVIII, 1990, pp. 435-36. Più in generale sul possibile valore concettuale del disegno in Masaccio si pronuncia il Berti (L. Berti, Il disegno di Masaccio, in «Nuova Antologia», CXVII, 2144, 1982, pp. 252-70) riferendo in linea ipotetica al valdarnese il foglio 28C del Gabinetto Disegni degli Uffizi, che vanta però altre attribuzioni.

122 Ma parallelamente Andrew Ladis afferma che non ci sono sufficienti elementi per dar credito all’esistenza di un dipinto masaccesco con quel soggetto. Cfr. A. Ladis, “Two nude figures by Masaccio” and the Importance to be Earnest in «Source», XV, 4, 1996, pp. 1-4.

123 D. Savelli, La Sagra di Masaccio, G. Pagnini, Firenze 1998.

124 M. Boskovits, Studi sul ritratto fiorentino quattrocentesco. I, in «Arte Cristiana», LXXXV, 781, 1987, pp. 255-63.

125 R. Bellucci e C. Frosinini, The Washington Virgin of Humility, in The Panel cit., pp. 254-56.

126 A. Cecchi, La Firenze di Masaccio, in Masaccio e i pittori del suo tempo agli Uffizi, a cura di A. Cecchi, con la collaborazione di L. Aquino, Skira, Milano 2002, pp. 29-30.

127 In alcuni testi critici il magistero di Masaccio è rivendicato anche per artisti del secondo Novecento come Georg Baselitz (R. Calvocoressi, A Source for the Inverted Imagery in Georg Baselitz’s Painting, in «The Burlington Magazine», CXXVII, 1985, pp. 894-99) o Aldo Alberti (L. Lunati, Alberti lo sperimentatore. Fra Masaccio e Informale, in «Arte», 320, 2000, p. 32).

128 Più della selezione delle opere esposte, inficiata da alcuni prestiti negati, si apprezza la lettura del saggio introduttivo della curatrice P. Cassinelli, Il “Mito” e l’Eterno Ritorno, in Masaccio e il Novecento, catalogo della mostra (San Giovanni Valdarno), Edifir, Firenze 2001.

 


 

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