Andrea della Robbia e il suo Tabernacolo degli Ebrei a Empoli

Un lavoro tardo di Andrea della Robbia riscoperto:

il Tabernacolo degli Ebrei a Empoli

Louis Alexander Waldman

 

Da: Apollo the International Magazine of Arts, September 1999, pp. 13-20.

 

Traduzione di Andreina Mancini

 


 

Fig. 1

 

Il museo della Collegiata a Empoli contiene una delle più note sculture in terracotta invetriata del cinquecento, la Madonna col bambino, o Tabernacolo degli Ebrei, che in origine era installata sulla facciata del Palazzo Pretorio nella stessa città. (Fig.1)1 Malgrado la realizzazione piuttosto grossolana, il Tabernacolo degli Ebrei è un documento raro e significativo di antisemitismo nell’Italia del Rinascimento. A lungo considerato produzione di un’anonima bottega fiorentina, il tabernacolo attira ancora di più il nostro interesse ora che, grazie a un contratto appena scoperto, può essere identificato addirittura come opera di un artista quale Andrea della Robbia – e comunque come la sua ultima scultura documentata.

Il tabernacolo di Empoli rappresenta la Vergine in piedi che tiene fra le braccia il bambino Gesù, la cui testa manca almeno dal 1894. (Fig.5).

 

Fig. 5

 

Cristo regge con la mano destra un cardellino (ora anch’esso senza testa) mentre con la sinistra tira una piega del mantello della Madonna. Le figure stanno dentro una nicchia riccamente adornata “all’antica”. In alto dentro un medaglione vediamo la colomba dello Spirito Santo, mentre sotto, affiancato da una coppia di cornucopie, appare un cavaliere a cavallo che porta sullo scudo gli armi del popolo fiorentino, le insegne del fiorentino Otto di Balìa (Fig. 8). (Questa magistratura era incaricata di amministrare gli affari delle comunità ebraiche per tutto il territorio di Firenze).

 

Fig. 8

 

Un’iscrizione sul tabernacolo ci informa che:

“Del prezzo delglebrei perloro errore ferno a laude di Dio fare qesta gli Otto sede[n]te nel [15]18, Domenico Parigi qui pretore”.2

La composizione della Vergine col Bambino nel Tabernacolo degli Ebrei di Empoli ricorda opere di Andrea della Robbia come la lunetta del Duomo di Prato del 1489 (Fig.2).3

 

Fig. 2

 

Stilisticamente, le figure presentano anche una notevole affinità con opere documentate degli ultimi anni della carriera di Andrea, come la Madonna col Bambino e angeli sulla facciata del Duomo di Pistoia per la quale nel 1504-05 lo scultore settantenne fu pagato. (Fig.3).

 

Fig. 3

 

In confronto con i lavori precedenti di Andrea sia il tabernacolo di Empoli che la Madonna  di Pistoia rivelano un trattamento più rigido, più schematico dei tessuti e uno stile figurativo meno articolato. I tratti pesanti e i volti in qualche modo inespressivi sono ugualmente un aspetto ricorrente della sua produzione più tarda. Queste caratteristiche, senz’altro attribuibili al maggior ricorso agli aiutanti da parte dello scultore, appaiono ancora più pronunciate nel tabernacolo di Empoli, realizzato più di una dozzina di anni dopo la lunetta di Pistoia, quando Andrea aveva ottantatré anni. Il modello della nicchia di Empoli è ugualmente tipico del lavoro di Andrea dello stesso periodo,4 e la decorazione di vasi e ghirlande è molto simile al fregio proveniente dalla bottega di Andrea, ora nella Collegiata di Castiglione Fiorentino.5

Malgrado queste somiglianze formali tuttavia per quasi un secolo la maggioranza degli studiosi ha esitato ad attribuire il tabernacolo di Empoli ad Andrea della Robbia o alla sua prolifica bottega. Odoardo Giglioli nel 1906 fu il primo a respingere l’attribuzione tradizionale, definendo la scultura “un mediocre lavoro” indegno di Andrea.6 Benché Allan Marquand, nel suo catalogo ragionato del 1922, avesse assegnato il tabernacolo ad Andrea e alla sua bottega,7 Antonio Paolucci argomentò enfaticamente che “la qualità grossolana del modellato esclude la paternità di Andrea” e lo attribuì a un anonimo Fiorentino. 8 L’attribuzione dell’opera ad Andrea fu di conseguenza messa in dubbio da Annamaria Giusti nel catalogo del museo della Collegiata,9 e come fulcro della recente monografia sui tabernacoli di Empoli, il Tabernacolo degli Ebrei è ancora una volta classificato come opera anonima.10

Mettendo da parte questi cavilli, il contratto appena scoperto per il Tabernacolo degli Ebrei di Empoli (vedere l’appendice sotto) prova al di là di ogni discussione che si tratta di un prodotto della bottega di Andrea. Esso risulta come l’ultimo lavoro documentato, e quindi un oggetto di interesse non comune per la storia della scultura in terracotta. Il contratto rivela che il 3 luglio 1518 Domenico Parigi, il cui incarico semestrale come Podestà di Firenze era scaduto alla fine di giugno,11 commissionò ad Andrea della Robbia “un tabernacolo di terracotta con rilievi, intagli e invetriature”. Da notare che il contratto stabilisce che il lavoro deve essere più somigliante possibile nella forma a un altro tabernacolo, pure in Empoli, del figlio dell’artista, Giovanni – ora perduto – nella sala delle adunanze della confraternita chiamata Compagnia di San Bernardino.12 Il prezzo del tabernacolo di Andrea fu fissato anticipatamente in dieci fiorini, dei quali l’artista ricevette un acconto di tre, con il saldo da pagare dopo che il lavoro fosse stato collocato sul Palazzo Pretorio, residenza ufficiale del Podestà. Il contratto specificava che l’artista stesso avrebbe dovuto pagare il trasporto del lavoro a Empoli e la sua installazione sulla facciata principale del Palazzo, prospiciente il forum castelli (la moderna piazza Farinata degli Uberti) entro la fine del settembre successivo (un po’ meno di tre mesi dalla data del contratto).

Empoli nel Rinascimento possedeva una comunità ebraica numerosa e fiorente, largamente dedita alla professione di banchiere.13 I prestatori di denaro ebrei e i prestiti che essi offrivano erano così importanti per la vita economica della comunità che quando nel 1406 la signoria fiorentina mise al bando le loro attività i cittadini di Empoli e i vicini comuni protestarono così vigorosamente che la legge dovette essere revocata.14 Nel risveglio del fervore religioso savonaroliano, nel 1495 gli Ebrei furono espulsi dalla Toscana, ma subito dopo il 1512 i Medici, nuovamente tornati al potere a Firenze, li invitarono a tornare e a riaprire le loro vecchie banche.15 Tuttavia, questo atteggiamento più liberale nei confronti delle essenziali attività economiche degli Ebrei non impedì pubbliche manifestazioni di antisemitismo, comprese le solite dubbie accuse di blasfemia e di sacrilegio. La commessa del tabernacolo ad Andrea della Robbia nacque da uno di questi incidenti. Nel 1518 un banchiere ebreo di nome Zaccaria d’Isacco fu accusato di aver vuotato il contenuto di un vaso da notte fuori dalla finestra durante la processione del Corpus Domini di quell’anno – sopra il baldacchino del tabernacolo del Sacramento mentre passava sotto casa sua. L’accusa era molto grave e richiedeva l’intervento immediato delle autorità. Se trovato colpevole di sacrilegio Zaccaria d’Isacco avrebbe ben potuto rischiare l’esecuzione, come Antonio di Giuseppe Rinaldeschi, un gentile condannato a morte a Firenze per aver gettato escrementi su un’immagine della Madonna nel 1501. (Fig.6)16

 

Fig. 6

 

Ancora più inquietante era la probabilità che la  popolazione potesse farsi legge da sé. Quando nel 1493 a Firenze uno squilibrato sfregiò e gettò sterco su diverse immagini della Vergine, gli astanti infuriati spontaneamente lo lapidarono a morte e poi trascinarono il suo cadavere per le strade.17 Il Podestà di Empoli, Domenico Parigi, inviò agli Otto di Firenze una richiesta urgente di istruzioni. Quelli risposero inviando ad Empoli un ufficiale con l’ordine di reprimere l’indignazione popolare e di prevenire un possibile contraccolpo. Anche i capi della comunità ebraica locale si attivarono rapidamente, ottenendo dagli Otto un decreto che prevedeva severe punizioni per chiunque molestasse gli Ebrei o le loro proprietà. Poiché gli Ebrei residenti nei territori assoggettati a Firenze erano sotto la giurisdizione centrale degli Otto piuttosto che del Podestà locale,18 Parigi poté inviare Zaccaria d’Isacco a Firenze per essere processato. Lontano dalla scena dell’incidente, le autorità speravano evidentemente di condurre un processo più tranquillo di quanto avrebbero potuto fare tra la folla inferocita di Empoli.

Il 16 giugno 1518 la magistratura degli Otto emise la sentenza. Il loro diplomatico rapporto sembrava sottintendere che Zaccaria d’Isacco non avesse avuto l’intenzione sacrilega di svuotare il suo vaso da notte sopra il tabernacolo del Sacramento. Tuttavia, “per lo errore commesso … nel dì della processione”, il banchiere fu condannato a pagare una multa di dieci fiorini. Cifra non trascurabile, ancora relativamente inferiore rispetto alle esorbitanti multe – ammontanti a migliaia o addirittura decine di migliaia di fiorini – regolarmente richieste agli Ebrei in Toscana durante questo periodo, anche per reati alquanto insignificanti.19 I fondi richiesti nel 1518 dagli Otto a Zaccaria d’Isacco furono destinati all’erezione di un tabernacolo, che come si è visto fu realizzato da Andrea della Robbia nello stesso anno.

Evidentemente la magistratura fiorentina si aspettava che una scultura esposta all’aperto avrebbe segnato visibilmente la fine della crisi scaturita dal vaso da notte dello sfortunato banchiere. Al Podestà fu affidata la responsabilità di commissionare quest’opera e di installarla in posizione ben visibile “in loco che di farlo sia veduto universalmente”. Come specificato nel mandato degli Otto, questo tabernacolo doveva raffigurare la Vergine ‘et altri sancti’, accompagnata dallo stemma della magistratura e da un testo esplicativo.20 Fatta eccezione per l’assenza di altri santi – probabilmente eliminati dal lavoro finale a causa della scarsità di fondi a disposizione – le dettagliate istruzioni date dagli Otto furono scrupolosamente seguite nell’opera consegnata da Andrea della Robbia nel 1518.

La multa che Zaccaria d’Isacco aveva pagato per finanziare la realizzazione del Tabernacolo degli Ebrei di Empoli – dieci fiorini – ha indubbiamente giocato un ruolo significativo nel determinare la scala (e forse la qualità) della scultura di Andrea della Robbia. Si sa relativamente poco dei prezzi praticati dalla bottega di Andrea, ma se confrontiamo il costo di dieci fiorini del tabernacolo di Empoli con quello di altre opere documentate, risulta che il prezzo non era insolito per una commissione di analoghe dimensioni e complessità.21

 

Fig. 4

 

Dieci fiorini era anche la somma pattuita nel 1475 per la Madonna dei Legnaiuoli di Andrea, ora al Bargello (Fig. 4), che è alquanto più piccola del Tabernacolo degli Ebrei di Empoli, ma più complessa nel disegno.22 Come punti di riferimento possiamo anche confrontare le venticinque lire (circa tre fiorini e mezzo) che Andrea ricevette nel 1487-88 per uno stemma dell’Arte Fiorentina della Lana largo un metro, o i venticinque fiorini pattuiti nel 1489 per la grande lunetta del Duomo di Prato, (Fig. 2), i cinque fiorini ricevuti per il soprastante raffigurante la Natività commissionato nel 1489 dall’Arte dei notai fiorentini, oppure i trentadue fiorini pagati nel 1491 per i quattro tondi degli Evangelisti in Santa Maria delle Carceri a Prato.23 Non è chiaro il motivo per cui il Podestà di Empoli, Domenico Parigi, stabilì che il disegno del tabernacolo di Andrea dovesse seguire quello del tabernacolo realizzato per la confraternita di S.Bernardino dal figlio dell’artista, Giovanni, che rappresentava ugualmente la Vergine in piedi che regge il Bambino. E probabilmente non sapremo mai quanto, nello scolpire il Tabernacolo degli Ebrei, Andrea e la sua bottega abbiano aderito – o ci si aspettava che aderissero – alla forma precisa del tabernacolo di Giovanni.

I contratti rinascimentali riguardanti l’arte contenevano spesso clausole simili, che generalmente  erano incluse più come guida alle dimensioni e al formato generale dell’opera che come stipula di uno stile specifico da imitare.24 Per esempio, nello stesso anno in cui fu commissionato il tabernacolo di Empoli, gli Operai di Segromigno in Monte, vicino a Lucca, ordinarono a Baccio da Montelupo di scolpire un tabernacolo “nella forma di” un’opera simile di Matteo Civitali a Lammari, “ma più grande di un terzo … così che sarà considerato più bello e di maggior valore.”25 A un occhio moderno, queste due opere non appaiono particolarmente vicine nello stile, ma la somiglianza generale era ovviamente sufficiente a soddisfare le richieste dei committenti.

La qualità artistica, in ogni caso, non era la principale preoccupazione di Parigi e della magistratura degli Otto, nel commissionare il tabernacolo ad Andrea della Robbia. Visibile a tutti sulla facciata della sede del governo civico, il Tabernacolo degli Ebrei doveva certificare che la crisi della processione del Corpus Domini del 1518 era stata risolta.

Decorata con le insegne degli Otto, l’iscrizione dichiarava esplicitamente che il presunto oltraggio commesso da Zaccaria d’Isacco non era stato altro che uno sfortunato “errore”, e che era stata fatta ammenda. La commessa dell’opera nel maggio del 1518 effettivamente permise di scongiurare le rappresaglie contro gli Ebrei locali da parte della popolazione gentile. Ma anche se il suo intento può essere stato quello di prevenire la violenza contro gli Ebrei, esso è anche un evidente segno dell’antisemitismo comune a tutta l’Europa cristiana durante il Rinascimento. Fu solo con l’arrivo in Italia di Napoleone, e degli ideali illuministi che portò con sé, che il Tabernacolo degli Ebrei divenne un imbarazzante residuo dei pregiudizi di un’epoca precedente, e fu rimosso dalla facciata della sede del governo.

Per quanto possa sembrare lontana dalle moderne nozioni di giustizia, all’inizio del cinquecento l’idea di punire i “crimini” contro la Chiesa ordinando ai colpevoli di finanziare le opere d’arte religiosa sembra essere stata una politica dei fiorentini Otto di Balìa. Un caso parallelo è offerto dalla punizione inflitta dalla magistratura nel 1506 ad un certo Antonio di Francesco Fieschi di Arezzo, ritenuto colpevole di aver maledetto i nomi di Gesù Cristo e della Vergine. Per la sua blasfemia gli fu offerta la possibilità di scegliere tra due punizioni simboliche: poteva avere la lingua inchiodata a un palo nel mercato per mezz’ora dopo essere stato costretto a girare per la città cavalcando un asino, oppure pagare cinquanta fiorini per la costruzione di una cappella nella chiesa fiorentina di S. Maria Alberighi. Questa cappella sarebbe stata dedicata alla Crocifissione, e l’imputato le avrebbe fornito un crocifisso (probabilmente scolpito); come il Tabernacolo degli Ebrei di Empoli, il crocifisso doveva esporre lo stemma degli Otto di Balìa.26 La chiesa di S Maria Alberighi fu abbattuta nel Settecento, quindi non abbiamo modo di sapere se Fieschi scelse di pagare per la nuova cappella o di trascorrere il resto della vita con la lingua perforata. Ma come l’imposizione di una multa a Zaccaria d’Isacco per la costruzione di un tabernacolo a Empoli, la condanna di un blasfemo a pagare una cappella illustra l’idea – ritrovata lungo tutto l’Inferno e il Purgatorio di Dante – di far corrispondere la pena alla colpa. Gli attacchi contro la Chiesa dovevano essere riparati da opere d’arte che glorificavano la Chiesa. La decisione degli Otto di Balia di costringere Zaccaria d’Isacco a pagare un’opera d’arte cristiana per espiare il suo “crimine contro la fede” ha paralleli anche fuori Firenze. Il più noto è il caso di Daniel di Leone Norsa, o Nursa (m. 1504), capo di un’importante famiglia di banchieri ebrei a Mantova. Nel 1495, dopo aver pagato un tributo, Norsa ricevette dal vicario episcopale di Mantova il permesso di rimuovere un vecchio affresco, raffigurante la Madonna e Santi, posto sopra la porta di una casa che aveva recentemente acquistato. Prima ancora che potesse farlo, tuttavia, la popolazione usò la richiesta di Norsa come pretesto per attaccare la sua casa e le autorità civili furono costrette a distruggere l’affresco per impedire alla folla di prendere d’assalto l’edificio. Il marchese di Mantova, Gian Francesco II Gonzaga, approfittò del tumulto per abbattere la casa di Norsa e per erigere al suo posto la Chiesa di S. Maria della Vittoria. Lo sfortunato banchiere fu costretto a pagare la pala dell’altare maggiore della chiesa – la Madonna della Vittoria del Mantegna ora al Louvre – per sostituire l’umile affresco la cui distruzione fu convenientemente attribuita a Norsa. L’immaginario della pittura di Mantegna è stato interpretato dagli studiosi moderni come incarnazione dell’idea della vittoria cristiana sulla malvagità e l’impunità degli Ebrei.27  Un dipinto contemporaneo di un mediocre seguace di Mantegna sembra essere una libera “ricreazione” del dipinto rimosso dalla casa di Norsa (Fig.7).

 

Fig. 7

 

In piedi accanto alla Vergine vediamo San Girolamo che regge un modello della chiesa che era stata costruita sul luogo della casa di Norsa; una coppia di angeli con palme sorregge un’iscrizione che proclama che la “temerarietà” degli Ebrei è stata annientata. Significativamente, il pannello di S. Andrea include i ritratti della famiglia di Norsa, raffigurati con espressioni di rimorso e di umiliazione, con indosso i dischi gialli come nel 1496 Isabella d’Este aveva ordinato a tutti gli uomini ebrei mantovani.28

Anche le opere commissionate come atti obbligatori di “espiazione” da parte degli Ebrei, come la Madonna della Vittoria o il Tabernacolo degli Ebrei a Empoli, devono essere intese nel contesto della diffusa tradizione italiana di finanziare progetti artistici infliggendo tasse o “multe” alla popolazione ebraica – senza alcun pretesto, se non che serviva il denaro. Il “reato” di usura era generalmente citato come scusa per queste esorbitanti e arbitrarie esazioni. Nel 1444, ad esempio, quando il governo fiorentino decise di realizzare un costoso ampliamento di Palazzo Vecchio, si procurò i seimila fiorini necessari costringendo cinque prestatori di denaro ebrei a pagare “multe” estorsive come espiazione del reato di usura. Per il resto del secolo, i fiorentini continuarono a pagare simili opere grazie a pubbliche imposizioni contro la comunità ebraica locale.29 I prestatori di denaro cristiani non furono mai vittime di queste pene, e sebbene il comune di Firenze talvolta tassasse i clienti gentili dei banchieri ebrei, il peso economico di tali prelievi gravava naturalmente anche sugli Ebrei. 30

Il messaggio di antisemitismo trasmesso dal tabernacolo di Empoli di Andrea della Robbia lo collega a una grande quantità di immagini prodotte nell’Italia del Rinascimento – per non parlare del resto della cristianità – dirette a denigrare gli Ebrei, l’“errore” della loro fede e le orrende atrocità che si presume abbiano commesso. Come il Tabernacolo degli Ebrei, numerose opere d’arte rinascimentali perpetuarono storie diffamatorie sulla blasfemia ebraica contro l’Eucarestia o la supposta profanazione di immagini sacre. La più nota di queste è la predella di Paolo Uccello di Urbino, che rappresenta la Profanazione dell’Ostia dipinta nel 1444-46 per una chiesa dedicata al Corpus Domini.31  Essa narra la storia, la cui fonte esatta è sconosciuta, di una donna cristiana che riscatta il proprio mantello presso il banco dei pegni di un Ebreo dandogli un’ostia consacrata: un miracolo impedisce il tentativo dell’Ebreo di distruggere il Corpo di Cristo.

 

Fig. 9

 

Di conseguenza lui e la sua famiglia sono bruciati sul rogo (Fig. 9), mentre la donna gentile è impiccata ma la sua anima pentita è salva. Una leggenda che si racconta è quella che è descritta in un pannello bolognese, forse proveniente da una predella smembrata, del primo quarto del sedicesimo secolo, che narra la storia universalmente nota del Libanese.32 Secondo questo scabroso racconto, nell’ottavo secolo un Ebreo acquistò una casa a Berytus (Beiruth) senza sapere che il precedente proprietario, un Cristiano, aveva inavvertitamente lasciato il dipinto di una Crocifissione appeso a una delle pareti.

 

Fig. 10

 

Quando il padrone di casa invitò a pranzo i suoi correligionari, questi lo denunciarono per aver ospitato un’immagine del genere (Fig. 10); gli Ebrei quindi profanarono la Crocifissione, che iniziò a sanguinare miracolosamente e questo fece sì che gli Ebrei si convertissero (o fossero smascherati e arrestati, secondo un’altra versione della storia). Ancora più orrenda e più dannosa per gli Ebrei di tutta Europa, fu la falsa storia dell’assassinio del beato Simone di Trento.

Questa accusa iniziò con una predica quaresimale pronunciata a Trento nel 1475 dal frate francescano Bernardino da Feltre, il quale disse ai suoi ascoltatori che i peccati degli Ebrei sarebbero stati presto resi manifesti a tutti. Poco dopo, un bambino cristiano di nome Simon Unverdosben scomparve e il suo corpo fu “scoperto” vicino alla casa del capo della locale comunità ebraica. Tutti gli Ebrei della città furono arrestati e, dopo quindici giorni di torture, molti di loro “confessarono” di aver ucciso il bambino per un rituale e furono bruciati sul rogo o strangolati. Negli anni successivi il fanatico predicatore fra Bernardino, sostenuto dal papato, sfruttò la vicenda della presunta uccisione rituale di Simon per incitare alla violenza contro gli Ebrei e le loro proprietà in tutta Italia e anche nel Nord Europa. Numerose rappresentazioni in dipinti e stampe hanno contribuito a soffiare sul fuoco dell’antisemitismo (Fig.11).33

 

Fig. 11

 

Il Tabernacolo degli Ebrei di Andrea della Robbia a Empoli rappresenta una delle molte contraddizioni che hanno caratterizzato la vita degli Ebrei nell’Italia del Rinascimento. La sua condanna dell’ ”errore” ebraico è una straordinaria espressione dell’antisemitismo endemico nell’Europa del Medioevo e del Rinascimento. La pratica di costringere Ebrei come il banchiere empolese Zaccaria d’Isacco a pagare per tali opere d’arte agli occhi dei cristiani contemporanei sembrava rappresentare una sorta di giustizia inevitabile, l’umiliante penitenza del malvagio infedele per la sua falsa religione. Sebbene il tabernacolo di Andrea fosse stato commissionato per aiutare a prevenire possibili rappresaglie contro gli Ebrei di Empoli, sarebbe anacronistico cercare di vederlo come una reazione contro l’antisemitismo imperante dell’epoca. D’altra parte, il gesto delle autorità cristiane per preservare l’ordine civile indica la loro consapevolezza della necessità di mantenere le tanto diffamate comunità ebraiche per la vita economica del paese. Tollerati con impazienza per l’importanza vitale delle loro operazioni bancarie, gravate sistematicamente da tasse e sanzioni ingiuste, e sempre sotto la minaccia di persecuzioni o omicidi per mano di folle fanatiche, come illustra la storia del Tabernacolo di Empoli, le condizione di vita degli Ebrei durante l’età “illuminata” del Rinascimento era davvero precaria.

 


 

Note

1 Per il Tabernacolo degli Ebrei a Empoli, vedere Allan Marquand, Andrea della Robbia, Cambridge, Mass., 1922, vol. II, pp. 260-61, n. 431; Antonio Paolucci, Il Museo della Collegiata di S. Andrea a Empoli, Firenze, 1985, p. 153 (con bibliografia); e più recentemente, Rosanna Caterina Proto Pisani in Elena Testaferrata e David Parri, I tabernacoli di Empoli: Edicole e immagini di devozione sul territorio empolese tra XV e XX secolo, Pisa, 1998, p. 5, e David Parri in ibid., pp. 29-30.

2 Il testo recita:

‘DELPREZZO DELGLEBREI PERLORO ERORE FERNO ALAUDE DI DIO FARE, Q[U]ESTA, GLI OTTO SEDE[N]TE NEL 18 DOMENICO PARIGI QUI PRETORE’.

3 Per la lunetta di Prato, vedere Marquand, op. cit., vol. I, pp. 90-93, n. 62.

4 Vedere, ad esempio. la pala d’altare della Natività a Sansepolcro (Marquand, op. cit., vol. I pp. 82-84, n. 56); la pala d’altare nella Cappella del Noviziato a S Croce, Firenze – che mostra uno stile altrettanto grezzo nei caratteri del suo fregio (ibid., vol. I, pp. 118-19, n. 79); la pala d’altare nel Camposanto, Arezzo (ibid., vol. II, pp. 128-30, n. 254); il Tabernacolo del Sacramento della Cattedrale di Sansepolcro (ibid., vol. I, pp. 132-33, n. 259); la pala d’altare dell’Eremo di Camaldoli – che come il Tabernacolo di Empoli ha un cerchio rotondo con una semplice cornice che costituisce parte della sua predella (ibid., vol. II, pp. 133-36, n. 262); l’ambito della Sacra conversazione di San Jacopo, Gallicano (ibid., vol. II, pp. 139-41, n. 269); e l’Adorazione dei Magi nel Victoria and Albert Museum (ibid., vol. II, pp. 185-86, n. 336).

5 Marquand, op. cit., vol. II, pp. 262-63, n. 433.

6 Odoardo H. Giglioli, Empoli artistica, Firenze, 1906, p. 53.

7 Marquand, op. cit., vol. II, pp. 260-61, n. 431. La sua attribuzione è seguita da Umberto Baldini, Itinerario del Museo della Collegiata, Empoli, 1956, p. 16; e da Giancarlo Gentilini, I Della Robbia: La scultura invetriata nel Rinascimento, Firenze, n.d., vol. I, p. 265.

8 Paolucci, op. cit., p. 153.

9 Annamaria Giusti, Museo della Collegiata, Chiesa di S. Andrea e S. Stefano, Bologna, 1988, pp. 30-31.

10 Parri, op. cit., p. 29.

11 Marquand, op. cit., vol. II, pp. 260-61.

12 La Compagnia di San Bernardino sembra essere completamente scomparsa nella letteratura su Empoli. Il suo archivio non è conservato nella sezione dedicata alla Compagnie Soppresse nell’Archivio di Stato, Firenze, né in quella per le Compagnie Religiose nell’Archivio Arcivescovile di Firenze.

13 Sulla vita degli Ebrei in Empoli e nel resto della Toscana durante il Rinascimento, vedi Umberto Cassuto, Gli Ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento. Firenze, 1918; Cecil Roth, The History of the Jews of ltaly, Philadelphia, 1946; Giuliano Lastraioli, ‘Israele a Empoli nei due secoli della Rinascenza’, Bollettino storico empolese, vol. III, 1959, pp. 443-57; Attilio Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino, 1963; Angelo Vivian, ‘Materiale ebraico per una storia degli ebrei di Empoli’, Bollettino storico empolese, voll. XXVII – XXVIII, 1983, pp. 89-118; Gardens and Ghettos: the Art of Jewish Life in Italy, Vivian B. Mann (ed.), fuori cat., The Jewish Museum, New York, 1989-90; Robert Bonfil, Jewish Life in Renaissance Italy, trad. Anthony Oldcorn, Berkeley, Los Angeles and London, 1994; Dora Liscia Bemporad and Annamarcella Tedeschi, Toscana: Itinerari ebraici, Venice, 1995, e in part. pp. 35-39.

14 Lastraioli, op. cit., p. 444.

15 Idem., p. 446.

16 Per l’esecuzione di Antonio Rinaldeschi per sacrilegio contro il Tabernacolo della Madonna de’ Ricci, vedi Luca Landucci, Diario Fiorentino,  Iodoco della Badia, Firenze, 1883, p. 223; Agostino Lapini, Diario fiorentino, Giuseppe Odoardo Corazzini, Firenze, 1900, p. 44; Lionello Giorgio Boccia, Giuseppe Cantelli e Fosco Maraini, Il Museo Stibbert a Firenze, IV: I depositi e l’archivio, Milano, 1976, p. 32; Samuel Y. Edgerton Jr., Pictures and Punishment: Art and Criminal Prosecution during the Florentine Renaissance, Itaca and London, 1985, pp. 47-58.

17 Landucci, op. cit., p. 66; Lapini, op. cit., p. 28.

18 Cassuto, op. cit., pp. 196-98.

19 Sulle multe sproporzionate, e spesso rovinose, comminate nei confronti dei banchieri ebrei in Toscana, vedi Cassuto, op. cit., pp. 199-201.

20 Lastraioli. op. cit., p. 453.

21 Per una visione generale dell’economia del laboratorio di Andrea, vedi Bruno Santi, ‘Una bottega per il commercio: Repertori, vendite, esportazioni’, in Giancarlo Gentilini (ed.), I Della Robbia e l’arte nuova della  scultura invetriata, cat.della mostra, Basilica di Sant’Alessandro, Fiesole, 1998, pp. 87-96.

22 Per la Madonna dei Legnaiuoli, vedi Marquand, op. cit., vol. I, pp.  18-21; Gentilini, op. cit. a n. 7 sopra, vol. I, p. 175; Santi, op. cit., p. 95.

23 Per lo stemma Arte della Lana, vedere Marquand, op. cit., vol. I, p. 85; per la lunetta di Prato, ibid., vol. I, p. 92; per la Natività, ibid., vol. I, p. 112; per gli Evangelisti della Santa Maria delle Carceri, ibid., vol. I, p. 112.

24 Sulla stipula di contratti concernenti altre opere d’arte da imitare, vedi Hannelore Glasser, Artists’ Contracts of the Early Renaissance, PhD dissertation, Columbia University, 1965 (New York and London, 1977), pp. 31, 65-70.

25 John Douglas Turner, La Scultura di Baccio da Montelupo, tesi di dottorato inedita, Brown University, 1997, p. 241: ‘ad similitudinem tabernaculi plebis Lammaris, et maius uno tertio pro  quolibet latere… ita quod iudicetur pulchrius et maioris valoris’.

26 Firenze, Archivio di Stato, Otto di Guardia, Repubblica, 135, fols. 221f – 222v (26 August 1506): ‘Antonius Francisci Pauli Fieschi de Aretio…super asino sedens ducatur et duci debeat per iustitie ministri per loca publica et consueta iustitie civitatis Florentie et postea ducatur ad columnam  fori veteris dicte civitatis eidemque Antonio per dictum ministrum iustitie lingua perforetur et ad dictam columnam cum ferzo in lingua perforata permaneat per spatium dimidie hore, cum salvo quod si dictus Antonius per totam diem trigesima presentis mensis…deposuerit penes unum ex Montibus Pietatis civitatis Florentie…florenos quinquaginta auri largos in auro pro construenda et edificanda in nova ecclesia Sancte Marie de Alberigis de Florentia una chappella nova cum altari et cum uno crucifìxo ut decet ornato cum insigne et ut vulgo dicitur con l’arme dicti eorum officii…’.

Oltre ai fondi per questa cappella, Fieschi sarebbe stato anche tenuto a pagare altri cinquanta fiorini, da distribuire come elemosina tra sei conventi fiorentini.

27 Ronald Lightbown, Mantegna, Oxford, 1986, pp. 177-84.

28 Sulla Madonna di Norsa a S Andrea, vedi Chiara Penna, La Basilica di S. Andrea a Mantova, Mantova, 1965, pp. 32-34; Lightbown, op. cit., p.179.

29 Nicolai Rubinstein, The Palazzo Vecchio, 1298-1532: Government, Architecture, and Imaginery in the Civic Palace, of the Florentine Republic, Oxford, 1995, pp. 24-25, 29, nota 217, 31, 33, nota 247.

30 Rubinstein, op. cit., pp. 32 nota 238,33, nota 247.

31 Vedi John Pope-Hennessy, Paolo Uccello, sec. ed., Londra e New York, 1969, pp. 156-57;  Marilyn Aronberg Lavin, ‘The Altar of the Corpus Domini in Urbino: Paolo Uccello, Joos van Ghent, Piero della Francesca’, Art Bulletin, vol. XLIX, n. 1 (marzo 1967), pp. 1-25; Edgerton, op. cit., pp. 146-48.  Per storie simili nell’arte del nord, vedi Ruth Mellinkoff, Outcasts: Signs of Otherness in Northern Europe, Art of the Late Middle Ages, vol. l, Berkeley, Los Angeles e Oxford, 1993, in particolare p. 100.

32 Per il Crocifisso della leggenda di Berytus, vedi Federico Zeri, La collezione Federico Mason Perkins, Torino, 1998, pp. 134-36, n. 53.

33 Sulle immagini di Simone di Trento, vedi Eric Myles, L’iconografia dell’antisemitismo: uno studio della rappresentazione degli ebrei in Europa, 1400-1600, tesi di dottorato inedita, New York University, 1973, pp. 54-90. Per le prime stampe che ritraggono il tema, vedere Arthur M. Hind, Early Italian Engraving: A Critical Catalogue with Complete Reproduction of All the Prints Described, vol. I, Londra, 1948, pp. 55, no. A.l.78 e 264, no. E. III. 45.

 


 

Appendice

 

Domenico Parigi commissiona il Tabernacolo degli Ebrei di Empoli a Andrea della Robbia, 3 Luglio 1518.

Firenze, Archivio di Stato, Notarile Antecosimiano, 15852 (Zanobi Pace, 1472-1525), inserto 1, fol. 190.

Item postea dictis anno et indictione et die tertia dicti mensis Iulii. Actum in cancelleria predicta, presentibus Laurentio Francisci de Stufa et Stasio Buti famulo dicti officii.

Dominicus Ioannis de Parigis, proximus presenti Potestas potestarie Empolis, ut et amplius in hac parte commissarius dominorum Octo Custodie et Balie civitatis Florentie et eorum officii, ex parte una, et Andreas olim Marci della Robbia scultor ex parte altera, devenerunt ad invicem et virissim dictis nominibus ad hanc conventionem et concordiam, videlicet: Quod dictus Dominicus dicto nomine locavit dicto Andree, presenti et acceptanti, opus unius tabemaculi de terra cocta cum rilievis, intaglis et pictura, ad formam et misuram et similitudinem quantum fieri possit unius tabernaculi alias facti et fabricati per manus Ioannis, filii cuiusdem dicti Andree, in Societate et domo Societatis Sancti Bernardini prope castellum, in quo inter cetera sculta est imago Beate Marie Virginis cum Filio in brachiis suis, stans recta. Cum pacto quod dictus Andreas teneatur et sic promisit etc. ponere et suponi et murari tacere dictum opus et tabemaculum et imaginem ut supra in palatio domini Potestatis Empolis ab extra in loco condecenti, id est, in facie quod respicit forum castelli predicti, omnibus suis laboribus, sumptibus et expensis dicti Andree hinc ad per totum mensem Septembris proxime futuri. Et dictus Dominicus dicti nomine promisit etc. dare et solvere dicto Andree prò toto opere predicto et vectura dicti operis in dictum locum et prò aliis sumptibus muraglie et aliis predictis, inter omnia, florenos decem auri largos in auro, hoc modo, videlicet: depositatos florenos tres auri largi in auro; rcsiduum auro immediate post finitum, positum, muratum et completum opus predictum. Que omnia etc. diete partes dictis nominibus promiserunt etc. attendere etc. sub pena florenorum X auri largorum in auro etc, qua pena etc, que pena etc, pro ghuarantigia etc, renuntiaverunt etc. Rogantes etc.

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