Cesare Brandi sul Tondo Doni

RESTAURATO A FIRENZE DALLA SOPRINTENDENZA

L’UNICO DIPINTO SU TAVOLA SICURAMENTE DI MICHELANGELO

 

Dal Corriere della sera del 9 dicembre 1985

 

Quel «tondo» lucido e dolce contiene la terra e il cielo

Il Tondo Doni oggi, foto proveniente dal sito degli Uffizi

 

Alla Galleria degli Uffizi di Firenze è stato presentato sabato il «Tondo Doni» di Michelangelo, restaurato dopo un anno e mezzo di lavoro a cura della Soprintendenza della Toscana. Una mostra didattica illustra la diverse fasi di questa iniziativa che riguarda anche il ripristino della cornice.

 

FIRENZE — Il Tondo Doni di Michelangelo è senza dubbio il quadro più importante e fatale del Cinquecento: l’unica opera sicura del sommo artista, come pittura mobile. Finora, per fortuna il dipinto stava benissimo e il restauro non poteva che aggiustarne la vernice: il suo colore differisce da tutte le tempere cinquecentesche, così freddo, lucido e brillante. Differiva soprattutto da quello della volta della Sistina, di pochissimi anni posteriore: ma la differenza, ora si ò visto bene, dipendeva solo dal fatto che alla Sistina il fumo secolare delle candele aveva attutito, smorzato addirittura i toni, che anche lì sono risultati trasparenti e brillanti. Perché Michelangelo, soprattutto — come io credo — in competizione con Leonardo dalle tonalità basse e come appassite, inaugurò, nella pittura, la gamma trasparente e limpida, fugando le ombre e le penombre del grande compatriota. Nel Tondo Doni, perfino il rosso diviene freddo, né scalda, con quella squillante fiamma, i blu e i rosa tenui dei nudi.

Se ci fosse la necessità, lontana per fortuna, di salvare un solo dipinto della nostra civiltà, toccherebbe al Tondo Doni, suprema sintesi di classico e di Rinascimento, con quella divina torsione della Madonna per porgere o ricevere il Bambino da San Giuseppe: quella torsione che diventerà manierista già nel Pontormo, non ancora in Raffaello che la ripete almeno cinque o sei volte, dalla Deposizione Baglione alle varie Madonne, fra cui quella del Duca d’Alba. Civiltà torsione che sviluppa lo spazio come svolgesse una matassa: donde poi le violente propulsioni della suprema volta della Sistina. Invidio la forza d’animo e il coraggio tecnico di chi ha osato mettere le mani su quella immortale pittura, per cui gli Uffizi sono la più importante galleria del mondo, e a Firenze corrono e correranno milioni di visitatori ogni anno.

Si dirà che a Firenze non c’è solo il Tondo Doni: ed è più che vero, e basterebbe il fatto che c’è Giotto in proprio, e Masaccio e quasi tutto Il Botticelli: soprattutto il fascino del Botticelli è una calamita potente. Ma Michelangelo pittore c’è solo a Firenze, con una tavola, che illustra non si sa più se il cielo o la terra, con quel Bambino, col simboli del vittorioso sulla morte prima di aver passato U supplizio della Croce. La splendore quasi virile della Madonna, la cui testa in scorcio fora la tavola e rigetta indietro lo spazio come il mare quando rovescia e libera la spiaggia: il fatto che, per la prima volta, con quanti tondi erano stati dipinti u Firenze, lo spazio si aggrumi e il tondo diventi un mappamondo: tutto è cosi eccezionale In questa opera senza uguali, che la cosa che più sorprende è che sia arrivata sino a noi e non dilacerata dalla furia del possesso come accadde per il cartone della «Battaglia di Cascina»: un caso di distruzione, per troppo amore, come fu quello della Battaglia di Anghiari: un fatto, vorrei dire, quasi di antropofagia, per due agogniati cartoni, che a furia di appartenere a tutti e fare da scuola al mondo finirono per essere materialmente distrutti.

Resta invece il Tondo Doni, per cui non esistono valutazioni eccessive, per cui le parole sono tutte Inferiori alla realtà che propone e immobilizza, come una costellazione. Certo, esistono pittori più cordiali di Michelangelo, di presa più diretta e soave. Non dico Rembrandt, quasi altrettanto terribile, ma Velazquez e Tiziano, ambedue all’apice di un colore fatto di luce e d’aria pura, con una sensualità cosi sana e impellente da rigenerare tutta la stirpe umana.

Ma Michelangelo è come Dante: va al di la di tutti.

Nè Michelangelo ignora la dolcezza, come in quel nudi trasparenti, nel fondo della Madonna Doni, dove audacemente, per simboleggiare il mondo pagano che quello cristiano lascia dietro di se. allude all’amore virile con tanta suprema grazia, senza falsi pudori. In realtà Michelangelo non amava solo Dante, e il Petrarca regna nel suoi sonetti come Dante, se pure prevale la durezza maschia della terzina dantesca.

Per li restauro del Tondo Doni non ci sono stati sponsor: così, almeno per il suo più grande quadro, lo Stato che ne ha la piena capacità tecnica, ha fatto senza chiedere le elemosine di un’industria. E la nostra cara Firenze, regina dello spirito, rifulge senza pagare dazio nella gloria del suo figlio più grande, anche se dové rivederlo solo dopo morto, messo in un sacco a dorso di mulo.

 

Cesare Brandi

 


 

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