Umberto Baldini: Tre restauri

Restauri di Dipinti Fiorentini

in occasione della mostra di Quattro Mestri del Rinascimento

di Umberto Baldini

 

da: Bullettino dell’Arte, 1954 – III (LUGLIO-SETTEMBRE – XXXIX)

 

 

In occasione della Mostra di Quattro Maestri del Primo Rinascimento, allestita dall’aprile al luglio del corrente anno in Palazzo Strozzi, il Gabinetto dei Restauri della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze ha curato il restauro di alcune opere che lì furono esposte. 1)
Di tre di tali restauri – più notevoli per i risultati tecnici ottenuti e per le novità che hanno presentato – compiliamo qui una particolareggiata relazione che vuol esporre i procedimenti che li hanno guidati, indicare le ragioni che li hanno promossi, segnalare e mettere in evidenza i problemi incontrati, le soluzioni messe in atto, le interessanti novità che essi hanno comportato.

Si tratta della ‘S. Anna, la Madonna col Bambino e Angioli’ che Masaccio eseguì in collaborazione con Masolino, della ‘Battaglia di S. Romano’ e della predella con il ‘Miracolo dell’Ostia’ di Paolo Uccello.
L’importanza del restauro della tavola di Masaccio sta soprattutto nel suo felice recupero: oggi possiamo alfine rivedere nelle sale degli Uffizi la preziosissima opera, cui la pulitura ha ridonato un aspetto scevro da artificiose e arbitrarie modificazioni, convalidando, nell’esistenza riscontrata di due diverse qualità tecniche, la presenza nell’opera di due diverse mani.
Il restauro della ‘Battaglia di S. Romano’ ha non meno felicemente migliorato le condizioni di quel dipinto, permettendo anche il recupero di vaste ed importanti zone. Osservazioni sulla sua superficie dipinta hanno poi dato la possibilità di stabilire quale fu la sua forma originaria e permesso nuove supposizioni sulla sua collocazione, tramandataci dai documenti, anche in riferimento con gli altri due pannelli del Louvre e della National Gallery, nella “camera di Lorenzo”.
Il restauro, infine, della predella con il ‘Miracolo dell’Ostia’, grazie alla rimozione di vaste e complete ridipinture, ha permesso il recupero totale del paesaggio originale di sfondo alle ultime due scene della storia, che ha ripreso tutta la sua bellezza, ripresentandosi alla critica con un aspetto quasi completamente nuovo.
Dalla documentazione fotografica eseguita prima, durante e dopo i restauri pubblichiamo quelle fotografie che ci paiono di maggiore interesse mentre il lettore che volesse rendersi più particolareggiatamente conto delle varie fasi del restauro potrà consultare la documentazione completa nell’archivio del Gabinetto dei Restauri della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze.
Il dipinto con ‘S. Anna, la Madonna con il Bambino e Angioli’ di Masaccio e Masolino era stato scelto per essere esposto alla Mostra d’Arte Italiana a Parigi, nel 1935. Le condizioni particolari del suo stato di conservazione dimostrarono subito però che il restauro sarebbe stato di lunghissima durata e impossibile, quindi, l’esposizione del dipinto a quella Mostra. Il lavoro di restauro iniziò comunque in quell’anno, sotto la sorveglianza particolare di Ugo Ojetti, Mario Salmi e Giovanni Poggi, membri del Consiglio Superiore di allora. 2)
Da osservazioni eseguite in laboratorio si poté subito stabilire che la tavola aveva avuto in passato un vecchio cattivo restauro; durante questo, con una pulitura quasi totale, erano state “spellate” molte parti, poi abbondantemente ridipinte; inoltre erano stati dati sulla superficie essiccativi che strappavano il colore, facendolo cadere in piccolissime scaglie. Si rese quindi necessaria una minuziosa opera per eliminare queste sostanze nocive: e in tal modo naturalmente si vennero a togliere la vernice e i vecchi ritocchi, rendendo indispensabile la completa pulitura del quadro. Una volta stabilito ciò, si trattava di scegliere, fra i vari metodi di pulitura, quello più adatto. Furono fatte, in una piccolissima zona della mano destra della Madonna, due prove: una di pulitura a solvente liquido volatile e una di pulitura a secco col bisturi. Il solvente liquido si dimostrava capace di rimuovere, oltre la ridipintura, anche tutte le altre sostanze dannose esistenti, ma la superficie del colore originale si mostrava inadatta a sopportare senza danno la sua azione per l’enorme sensibilità del colore e per la particolare forma della sua craquelure che, presentando una fittissima serie di minutissime particelle concave, non permetteva un’azione uniforme. Le ricerche furono rivolte perciò a trovare un reagente che rigonfiasse leggermente gli strati da eliminare, al punto da permettere la più facile rimozione per mezzo del bisturi e del microscopio.

La fotografia che presentiamo (fig. 2) – eseguita a 30 ingrandimenti – conferma in modo chiaro che l’unico mezzo per rimuovere dalla superficie le ridipinture senza danno delle parti originali era quello dell’operazione col bisturi al microscopio. Essa presenta infatti i due risultati della pulitura eseguita a solvente liquido (zona più scura), e di quella eseguita a bisturi (zona più chiara). È evidente come il bisturi abbia eliminato tutto lo sporco senza intaccare minimamente la superficie dipinta; mentre l’uso del solvente liquido si mostrava assai pericoloso in quanto non poteva agire, come già si è detto, in modo uniforme sul colore originale, costringendo il restauratore a ripetere l’operazione più volte, col pericolo di intaccare quelle parti che al primo passaggio del batuffolo di cotone restavano già pulite perché in posizione più alta (parti perimetrali della particella concava) nei confronti del resto della superficie.

L’impiego del bisturi e del microscopio risultava perciò come l’unica via possibile per la pulitura del dipinto. E l’operazione si dimostrava oltremodo difficile e lunga proprio perché il bisturi avrebbe dovuto seguire lo scabrosissimo andamento della superficie, che si rivelava sensibilissima alla più piccola pressione.

 

E di questa sensibilità eccezionale è chiaro documento un’altra macrofotografia (fig. 3) eseguita a 25 ingrandimenti, che mostra come la superficie abbia subìto danni nel precedente antico restauro che tentò di spianarne le parti sollevate. La fotografia interessa una zona sulla fronte della Madonna: le parti più scure sono cadute di colore; il resto della superficie è attraversato da una specie di reticolato i cui solchi più grossi delimitano le screpolature antiche del colore; quelli più sottili, agli angoli dei rettangoli, furono invece causati dalla fermatura del colore eseguita nel vecchio restauro che spianò, facendole aderire alla superficie del dipinto, tutte le parti sollevate.
Ma non si limitavano a ciò i danni causati da quest’ultimo restauro. Altre zone della superficie mostravano, all’osservazione microscopica, la poca precisione usata dal restauratore nel ricoprire
di stucco le parti mancanti di colore.

Un’altra macrofotografia (fig.4) eseguita a 20 ingrandimenti, mostra infatti con chiarezza come questo stucco abbia invaso, oltre i limiti delle rotture, la superficie dipinta ed abbia quindi ricoperto anche molta parte del colore originale.

Essa interessa un punto sul labbro superiore della bocca della S. Anna che si presentava quasi completamente ricoperto di stucco. Si può dire anzi – e altre osservazioni documentate da macrofotografie lo rilevarono chiaramente – che i tre quarti del volto della S. Anna, una delle parti più rovinate di tutta la pittura, erano ricoperti da vaste zone biancastre che segnalavano con evidenza la presenza esuberante di questo stucco. Il bisturi quindi dové asportarlo, permettendo il recupero di zone originali e togliendo alla superficie la dura e secca scabrosità che ridipinture, sporco, essiccativi, vernici ed altro rendevano oltremodo eccessiva.
Quale esempio del risultato ottenuto presentiamo l’occhio sinistro dell’angiolo a destra in alto – quello cioè di Masaccio – in due fotografie che ce lo mostrano durante il restauro e dopo il restauro. Tolto tutto lo spessore che turbava l’originale, questo è apparso in buone condizioni e la superficie stessa è risultata sufficientemente uniforme e abbastanza liscia (figg. 5 e 6).

Che ridipinture, sporco, essiccativi, vernici ed altro avessero realmente steso una vera e propria coltre scura su tutta la superficie dipinta è ampiamente dimostrato dalle fotografie eseguite prima del restauro, presentate in due particolari: la parte interessante la cuspide del dipinto con l’angiolo di scorcio (fig. 7) e il volto della Madonna, che mostra, oltre alle brutture del restauro precedente che col tempo si è variamente modificato creando vaste zone di macchie, anche l’azione di strappo causata dal bianco d’uovo disteso sulla superficie (fig. 9).

E tutta questa azione di sollevamento e craquelure è ben documentata da fotografie a luce radente eseguite durante il restauro.

Qui presentiamo (fig. 10) un particolare del volto della S. Anna. L’azione del bisturi ha provveduto a rimuovere da tutta la superficie della tavola ogni ridipintura e tutte quelle sostanze dannose che su essa erano state applicate. Fotografie eseguite durante l’operazione di restauro mostrano i resultati di tale lavoro.

 

 

La fotografia d’insieme (fig. 11) presenta parti già pulite e parti ancora da pulire; un particolare dell’angiolo a destra in basso (fig. 12) presenta sul naso, sulla bocca e sull’occhio destro le zone ancora da pulire.

Anche prima di giungere alla totale pulitura della superficie apparve subito chiaro che il restauro che si era intrapreso avrebbe permesso un eccezionale recupero del dipinto. Ma d’altra parte si dovette amaramente constatare che lo stato di conservazione dell’originale non era uguale in tutte le parti: alcuni colori erano ormai completamente falsati e squilibrati nella loro tonalità dall’arrotatura avuta dagli alcali che furono impiegati per la pulitura nel vecchio restauro e che avevano agito in maniera diversa sulla superficie. Il rosso del manto della S. Anna apparve ridotto in uno stato miserevole e l’unica particella originale conservata di esso fu scoperta sotto tracce di una goccia di cera che preesisteva alla pulitura e sulla quale il solvente non fece il suo effetto; l’angiolo in alto risultò quasi completamente rifatto per ben due volte (fig. 8);

il volto della S. Anna apparve come una delle parti più danneggiate, oltre che dalla pulitura, da un’abbondante stuccatura, come già si è detto (fig.10); così come resultò quasi completamente perduto il broccato, un tempo a melagrane e racemi su fondo argento; completamente ridipinto ad olio resultò il manto azzurro della Madonna, ma la rimozione di esso portò alla gradita ed insperata scoperta di tutto l’originale.

Una volta tolte dalla superficie tutte le ridipinture e lo sporco che l’opprimevano, la superficie stessa è apparsa in discrete condizioni e molto meno scabrosa. E’ da notare che la palpebra superiore e parte della pupilla risultano non completamente originali in alcuni punti, come dimostra il loro strato pittorico che viene a trovarsi al disopra dell’antica craquelure. Non si è creduto opportuno togliere su tali punti la ridipintura perché, non esistendo al disotto di essa nessuna traccia dell’originale, si sarebbe creata una mancanza troppo grave, che avrebbe presentato anche un problema di restauro pittorico difficilmente risolvibile.
Il recupero delle mirabili parti di Masaccio, come la Vergine, il Bambino e l’angiolo a destra in alto compensava tutte le fatiche e le cure del restauratore. Al quale occorsero in media, per la pulitura di un solo centimetro quadrato, dalle sei alle otto ore di lavoro al microscopio, usato da dieci a trenta ingrandimenti a seconda delle varie zone.
Altre interessanti constatazioni si poterono fare durante il lavoro di pulitura e riportiamo qui quella che ci pare la più importante. Le figure che compongono il dipinto sono apparse all’ osservazione del restauratore di differenti qualità tecniche e si sono potuti comporre così due gruppi: uno che comprende la Madonna con il Bambino e l’angiolo a destra in alto, l’altro che comprende i due angioli in basso e l’angiolo in alto a sinistra. Per quanto riguarda la S. Anna e l’angiolo di scorcio in alto non è stato possibile arrivare ad un giudizio preciso: non si può infatti stabilire con esattezza se la loro delicatissima fattura sia da attribuire alla loro particolare qualità tecnica originaria o al disgraziato stato di conservazione in cui essa ci è pervenuta.
AI restauratore Augusto Vermehren, al quale si deve l’inizio della pulitura nel periodo prebellico e la continuazione e il compimento in questi ultimi anni, sono succeduti nel lavoro di restauro pittorico, che si presentava per diverse ragioni anch’esso difficoltoso, Teodosio Sokolov e Edo Masini.
Una volta pulita tutta la superficie del dipinto e stuccate le parti mancanti di colore, è stato compiuto un restauro pittorico il più limitato possibile, ma sempre inteso a rimediare quello squilibrio creato dal precedente restauro. Esso è stato pertanto condotto ad acquarello e a vernice, in modo da permetterne facilmente in ogni momento la rimozione.

Uno dei problemi più gravi da risolvere era costituito dal broccato che originariamente aveva il fondo d’argento brillante – a trama a reticolato, sul quale il disegno dei racemi e delle melagrane appariva come un velluto controtagliato – e oggi si presentava invece, a causa della sua ossidazione, molto scuro, creando uno svisamento completo di quelli che dovettero essere i suoi rapporti con il resto delI’opera. Non è stato possibile eliminare del tutto tale inconveniente, nelle prove fatte, sia che si accompagnasse un’argentatura moderna alle tracce dell’antica ossidata, sia che si rifacesse un nuovo fondo brillante: in ambedue i casi si riformava uno squilibrio con la decorazione a frutta e racemi, già troppo scurita ed alterata. Il restauro pittorico si è perciò limitato a rendere più leggibile il disegno del broccato con l’intento di suggerire, in modo più corretto di quanto le condizioni precedenti non lo facessero apparire, la sua funzione di fondo e la qualità della sua materia un tempo ben delineata nel colore e nel segno e perciò parte inscindibile, per i suoi valori anche spaziali, per il godimento dell’opera.
Tutto il lavoro di pulitura e di restauro pittorico ebbe il periodico controllo del Consiglio Superiore delle Belle Arti nelle persone dei proff. Mario Salmi, Lionello Venturi, Guglielmo Pacchioni e Achille Bertini Calosso. Seguirono il lavoro anche i vari componenti il Comitato Esecutivo della Mostra di Quattro Maestri e, in special modo, i proff. Roberto Longhi e Carlo L. Ragghianti. 3)

La ‘Battaglia di S. Romano ‘ di Paolo Uccello nelIa Galleria degli Uffizi mostrava da tempo le sue precarie condizioni che peggioravano continuamente e per l’offuscamento sempre maggiore delle vernici e per le alterazioni ormai troppo notevoli dei restauri pittorici eseguiti in più tempi nel passato ; per non dire della sempre maggiore difficoltà di una sua buona lettura: il dipinto aveva infatti assunto un aspetto torbido, opaco, privo di finezze e quasi completamente svuotato della sua potenza prospettica.
Si imponeva un intervento atto a rimuovere dalla superficie dipinta ogni aggiunta di posteriori epoche e a salvaguardare nel futuro la superba opera. Ché ridipinture e velature ottocentesche, eseguite ad olio, compromettevano sempre più la superficie continuando ad agire negativamente sul colore che tendeva a sollevarsi in seguito ad una forte craquelure.

Una fotografia eseguita a luce radente su una zona interessante la testa del guerriero che appare, volto di tre quarti, sulla estrema destra del dipinto, al di sopra del muso del cavallo bianco (fig. 17), dà la prova di simile pericolosa situazione. Occorreva innanzi tutto fermare tutta questa superficie pericolante.
L’operazione di fermatura è stata eseguita a cera, distesa sopra il dipinto a caldo, in modo da permetterne la penetrazione attraverso le numerose e profonde crettature operate dal tempo e dai precedenti restauri. Per ottenere una maggiore adesione essa è stata eseguita con un ferro in modo da compiere una vera e propria stiratura della superficie.
Tolti in un secondo tempo, con i comuni e consueti solventi liquidi volatili, i resti della cera rimasta in superficie, si passò a rimuovere con altri solventi liquidi volatili tutte le ridipinture e velature sette-ottocentesche eseguite ad olio, nonché quelle attribuibili a più recenti restauri (ritocchi, riprese parziali di colore, ecc.).
Sono state rispettate, durante questa operazione di pulitura, tutte quelle zone che ancora conservavano la vernice antica : esse sono state proprio la base e il punto di arrivo della pulitura stessa, la pietra di paragone per la ricerca della sua unità. Su di esse perciò con particolarissima prudenza dovette agire il solvente liquido più blando per nettarle dalle scorie delle ridipinture. E uguale prudenza dové essere usata nella conservazione di quelle velature originali che ancora esistevano e delle quali un tempo doveva essere ricoperta quasi completamente tutta la superficie del dipinto.
Tutta questa operazione metteva in chiaro – a questo punto del restauro – la prassi del restauro ottocentesco. Questo doveva anche allora essere stato consigliato dalle non buone condizioni del dipinto, che doveva essere già scurito per iterate verniciature oltre che per la polvere e lo sporco accumulatisi col tempo sulla sua superficie e per l’alterazione di velature e vernici originali. Per rimuovere tutto questo strato il restauratore ottocentesco dovette fare dapprima uso di soda caustica ma l’operazione (e se ne vide poi il resultato soprattutto nel grosso cavallo bianco al centro) dovette apparire anche a lui troppo pericolosa se fu necessario ripiegare sull’uso di un solvente più blando e, secondo la sua intenzione, meno dannoso, composto forse di alcool e acqua ragia. Ma purtroppo anche con tale sistema si crearono ugualmente grossi guai al dipinto. L’operazione di pulitura dovette essere infatti eseguita a mezzo di batuffoli di cotone e di pennelli che, passando più volte sulla superficie, finirono con l’arrotare tutti i bordi rialzati delle numerose isole concave che formavano la trama della craquelure. Non solo: il restauratore non seppe distinguere saggiamente le velature autentiche dalle vernici alterate e quelle, pur essendo legate
con un glutine diverso dalla vernice, dovettero cedere quasi contemporaneamente a queste, sì che quasi tutte risultarono, al termine dell’operazione, completamente asportate, specie nelle zone interessanti il terreno in primo piano, i cavalli, i guerrieri. Sul fondo e sulle armature ne restarono delle tracce, ma anch’esse risultarono notevolmente intaccate. Ne venne di conseguenza uno squilibrio notevole delle varie parti dell’opera e il restauratore pensò di rimediare ricorrendo a velature ad olio che intenzionalmente dovevano sostituire le originali ormai irrimediabilmente perdute.
Eliminate dall’odierna pulitura tutte le ridipinture, apparvero chiaramente le precarie condizioni del dipinto, reso squilibrato dalla precedente incauta pulitura (fig. 18).

 

Ma già anche balzavano chiari all’osservazione alcuni dati che sotto vari aspetti avevano il sapore di vera e propria novità o scoperta.
Già dalla rimozione delle ridipinture veniva alla luce un nuovo particolare: in prossimità della più larga delle fenditure trasversali attraversante il paesaggio, ancora ricoperta di stucco, si cominciavano ad intravedere le fattezze di un leprotto che la rimozione completa degli stucchi doveva restituire poi quasi intero, e fargli riprendere la sua parte di preda inseguita dal cane (fig. 19).

Ma di gran lunga più interessante risultava l’osservazione della superficie agli angoli alti della tavola. Ben distinguibili e come isolate dal resto della pittura apparivano due zone esattamente delimitate (e sono visibili anche nella fotografia eseguita a questa fase del restauro e già presentata, fig. 18) e che interessavano a sinistra il fogliame con le frutta rosse e a destra una zona più stretta che interrompeva il prolungarsi in alto delle lance.
Un’osservazione più accurata delle due zone suddette ha permesso di stabilire con esattezza che si trattava di due aggiunte incorporate alla tavola in epoca cinquecentesca.
Il legno di esse è disposto a vena contraria nei confronti del resto della tavola e una – quella di destra – presenta, sotto la mestica, la tela, diversificando anche in ciò con la struttura del resto del dipinto che ha la tela solo sulle giunture delle varie tavole che lo compongono e su i nodi del legno. La parte aggiunta di sinistra presenta invece caratteristiche più prossime al dipinto, variando peraltro per la qualità dei colori che risultano di fattura e di macinatura più grossolana.
Si tratta dunque di due vere e proprie aggiunte, incollate alla tavola e che vennero a riempire gli angoli alti, originariamente sagomati secondo una diversa forma. E proprio questa particolare forma ha permesso di formulare una nuova supposizione circa la sua originaria sistemazione nella camera di Lorenzo il Magnifico in Palazzo Medici.

Un inventario del 1492, pubblicato dal Müntz nel 1888 4) e poi ripreso dall’Horne nel 1901, 5) ricorda la presenza “nella chamera grande terrena, detta Lachamera di Lorenzo” di “sej quadri chorniciati atorno & messi doro sopra la… spalliera et sopra allettuccio di braccia 42 lunghi et alti braccia iij ½ dipinti” e tra essi “tre della rotta di S. Romano… dimano di pagholo vcello”. Che si trattasse dei tre pannelli attualmente distribuiti tra gli Uffizi, il Louvre e la National Gallery apparve indubbio all’Horne e la ricerca fu da allora ritenuta valida da tutta la critica.
La camera di Lorenzo cui allude il documento era nella prima stanza a pianterreno del Palazzo (prima stanza dell’attuale Museo Mediceo). È un ambiente rettangolare, voltato a vela con due peducci centrali nelle pareti lunghe e uno sulle pareti corte e quattro peducci angolari. Misura m. 7,42 nelle pareti corte e m. 9,87 in quelle lunghe. Le misure, in larghezza, dei tre pannelli di Londra, di Firenze e di Parigi sono rispettivamente m. 3,19; 3,22; 3,16. Esse corrisponderebbero ciascuna all’incirca agli spazi che intercorrono tra un peduccio e l’altro delle pareti.

Nel documento riportato i dipinti sono dichiarati “chornicjati atorno” e questo può spiegare la lieve differenza in centimetri che si riscontra nel confronto. Essi poi – sempre secondo il documento – si trovavano “sopra la spalliera et sopra allettuccio”: quindi in posizione assai alta dal suolo.
L’osservazione attenta e precisa della forma particolare degli angoli del pannello degli Uffizi mostrò che il pannello stesso poteva innestarsi, proprio in virtù della forma dei suoi angoli alti, a contatto coi peducci dei quali ripeteva esattamente i contorni. E mentre la sagomatura di sinistra ha una forma ampia che abbraccia fino alla sua metà un peduccio, quella di destra, più ristretta, sembra aderire alle forme più proprie di un peduccio angolare. Ne consegue che il pannello degli Uffizi doveva essere sistemato o sulla estrema destra della parete d’ingresso, adiacente alla parete sinistra, con la quale veniva a trovarsi in posizione ad angolo retto o all’estrema destra della parete destra lunga.
Una volta stabilito in supposizione quanto detto, si pensò che se ciò fosse stato esatto o possibile, anche i due pannelli attualmente a Londra e a Parigi avrebbero dovuto mostrare agli angoli alti le tracce dei medesimi rimaneggiamenti. Il dott. Ugo Procacci, direttore del Gabinetto dei Restauri, si mise subito in contatto con il Museo del Louvre e la National Gallery per avere fotografie di particolari degli angoli alti dei due pannelli di Paolo Uccello. Osservazioni fatte dal prof. Martin Davies e dalla signora Magdeleine Hours e comunicate al dott. Procacci nonchè fotografie a luce diretta e radiografie – gentilmente inviate dalle Direzioni dei due Istituti che qui si ringraziano – dimostrarono che anche in essi sussistono le medesime aggiunte. E dalle proporzioni che vengono a prendere le nuove sagomature che corrispondono esattamente, nell’ampiezza e nella forma, ai peducci della stanza in Palazzo Medici, è lecito supporre che i tre pannelli della Battaglia non stessero tutti insieme su una delle pareti lunghe, ma che due – quello di Londra e quello di Firenze – stessero sulla parete d’ingresso, mentre il terzo – quello di Parigi – stesse sulla parete di sinistra, sotto la lunetta di sinistra, attaccato ad angolo retto cioè, con quello di Firenze.
Il pannello di Londra infatti presenta all’angolo sinistro una sagomatura che ripete la forma di un peduccio angolare, mentre nell’angolo destro ripete simmetricamente la sagomatura di sinistra del pannello di Firenze: i due pannelli – che hanno anche uguale misura di lunghezza – dovevano essere uniti su una stessa parete.
Il pannello di Parigi ha a sinistra una sagomatura che combacia anch’essa con un peduccio angolare e perciò dovette figurare sulla parete adiacente a sinistra e incastrarsi ad angolo retto con il pannello di Firenze. La sagomatura dell’angolo destro si adatta poi perfettamente ad un peduccio centrale.
Concludendo, i tre pannelli si trovavano due su una parete e uno su un’altra, disposti ad angolo retto, così come appaiono nel tentativo di ricostruzione che presentiamo (fig. 21).

 

Questa, dunque, l’ipotesi che possiamo formulare in seguito alla scoperta delle aggiunte avvenuta durante il restauro del pannello degli Uffizi. È sperabile però che un accurato restauro, in riferimento ai suggerimenti e ai risultati che è stato possibile acquisire fin d’ora, venga eseguito ai dipinti di Londra e di Parigi. Essi potrebbero rendere più valida e più precisa la nostra supposizione.
Che poi il rimaneggiamento delle tre tavole sia avvenuto in epoca cinquecentesca, come già abbiamo detto, oltre che dall’analisi della superficie dipinta delle parti aggiunte fatta dal restauratore, ci pare possa essere testimoniato da un altro documento, pubblicato dall’Horne. 6)
In un inventario del 1598 infatti i tre quadri sono elencati “tutti in un pezzo, con lor cornicette dorate, appicchati almuro alti sopra alla porta del primo salone, nell’andito della cappella”.

I tre dipinti hanno cioè avuto una nuova collocazione, la stanza cui si riferisce il documento essendo diversa da quella già individuata come “lachamera di Lorenzo” nell’inventario del 1492. E poiché il documento del 1598 dichiara i pannelli “tutti in uno pezzo” su una stessa parete, par logico supporre che proprio la loro riunione a trittico comportò, con la scomposizione del primitivo ordine, anche un restauro che dovette rivolgersi proprio agli angoli alti delle tavole che non avevano più ragione di essere sagomati secondo una forma che, in una collocazione su una sola parete e certo non più a contatto con i peducci, avrebbe apertamente mostrato disuguaglianze e discordanze troppo contrastanti. La forma più logica del rettangolo, mediante l’inserimento di quelle giunte che il restauro odierno ha scoperto, veniva a sostituire quella originale che, tolta dal suo luogo, non aveva più ragione di sussistere.
E proprio al momento di tali rimaneggiamenti e di tali aggiunte è da attribuirsi la vasta ridipintura che occupò la parte del dipinto in prossimità del margine superiore venendo a creare un cielo azzurro cupo (composto di uno strato bianco, di uno strato di lapislazzulo e di più strati di vernice) che ricopriva vaste zone originali. Tale ridipintura era una vera e propria striscia orizzontale che iniziava da sinistra attaccandosi ai fogliami all’altezza delle figure dei portatori e delle portatrici di acqua che tagliava a metà e continuava poi fino a ricoprire la parte più alta del paesaggio. 7)
Tale ridipintura era durissima, condotta a tempera con colori molto simili a quelli usati da Paolo Uccello, ma da essi diversi nella macinatura più grossolana e nella stesura più rozza. Essa risultava particolarmente evidente nella scena dei portatori e delle portatrici d’acqua nel fondo a sinistra, le cui figure erano solo in parte visibili. (fig. 22).

L’operazione di rimozione fu eseguita in parte al bisturi al microscopio e in parte mediante pressione di vapori caldi di piridina 8) che ha permesso di conservare anche le parti esistenti di vernice originale (fig. 23).

Ma oltre al recupero di questa finissima e deliziosa scena campestre, la rimozione ha portato anche alla scoperta di una intera zona di paesaggio circostante, con alberi e campi, il cui buono stato di conservazione ha permesso, sia pure in piccolo, un’osservazione dei colori assai prossima a quella che dovette essere in origine, la ridipintura avendo impedito quelle alterazioni dovute alla luce, alla susseguente pulitura e all’azione delle vernici e velature ad olio date sul resto della tavola.

Così è stato possibile compiere anche altre interessanti osservazioni sul dipinto in merito alle alterazioni subite nel tempo: le parti più mutate dall’aspetto primitivo risultano il paesaggio, comprendente tutte le colline, e le armature dei guerrieri, soprattutto di quelli degli ultimi piani, apparse senza modellature e senza alcuna traccia di argento. Infatti in origine tutto il fondo dei campi doveva essere in verde brillante e trasparente anziché in bruno rossastro e le armature dovevano essere in argento abbassato di tono, nella sua lucentezza metallica, dalla mecca soprappostavi. Il restauro ha conservato l’alone esistente dall’origine sui campi anche se essa ha avuto, col tempo, una completa trasformazione da verde in marrone.

Ma anche con le variazioni causate irrimediabilmente dal tempo il restauro ha ridonato all’opera – una volta portata a termine la pulitura e stuccate le mancanze di colore, si è proceduto al restauro pittorico che è stato eseguito ad acquarello – la sua armonia e tutto il suo disegno. Soprattutto nelle parti alte della tavola questo era quasi completamente scomparso sotto la coltre delle vernici e di numerose ridipinture. Tutto il gruppo dei cavalieri in alto a destra è ricomparso con la sua precisazione grafica e con somma chiarezza (fig. 24). Lo stesso può dirsi del fondo della collina laddove sono di scena gli arcieri. Tutto il giuoco prospettico dei vari elementi della composizione è ricomparso in un’intensificazione ben segnalata e distribuita di piani che prima non era assolutamente possibile gustare. Il dipinto ha ripreso così il suo normale equilibrio (fig. 17) e le varie parti che lo compongono si innestano l’ una nell’altra senza alcuna frattura, in una composizione novamente roteante e torneante che ci ridà la possibilità di ammirare con chiarezza tutto il valore di un’opera che ci appariva prima d’ora troppo pesantemente disordinata. 9)

Il medesimo offuscamento delle vernici e le notevoli alterazioni delle numerose ridipinture subite in precedenti restauri rendevano fortemente discontinua nelle sue varie storie, alla pari della Battaglia, anche la predella col “ Miracolo dell’Ostia “ sempre di Paolo Uccello, nella Galleria Nazionale delle Marche in Urbino.
Per ridonarle un aspetto più unitario e per eliminare quelle aggiunte che potevano col tempo causare gravi danni alla superficie del colore, si pensò di rimuovere tutti i numerosi ritocchi ad olio e a tempera e le dense velature che la intorbidivano. Ma prima si dovette eseguire la fermatura del colore che in alcuni parti risultava sollevato. Tale operazione fu eseguita a caldo con cera.
Eliminata in un secondo tempo la cera stessa rimasta in superficie, si pensò a rimuovere le ridipinture mediante solvente liquido a base di piridina. Il risultato, considerato scena per scena, poté considerarsi più che soddisfacente: colori vibranti e luminosi al posto di quelli appannati e fiacchi di prima erano tornati alla luce. Riacquistando respiro e luce l’opera mostrava però chiari i segni del tempo e di restauri incauti, specie nelle prime due scene degli interni dove le pareti, gli impiantiti e la piccola figura della venditrice erano state quasi completamente rifatte in colore ad olio. Cosi come tutto il paesaggio dell’ultima scena di destra (fig. 25), pur conservando l’originario profilo dei monti sull’orizzonte, risultava completamente ridipinto. Tale ridipintura risaliva con ogni probabilità al sec. XVI. Alla serena, miniaturistica e precisissima prospettiva con poderi e piccoli caseggiati era stato soprammesso un verde intenso, caldo e di stesura piuttosto volgare, che trasformava completamente l’opera. E proprio questo verde, anche in virtù del suo spesso strato, estendendosi – anche se con minor prepotenza e pesantezza – a lumeggiare le colline delle altre due scene, creava lo squilibrio più notevole al dipinto che appariva fuor di misura carico di veri e propri contrasti di stile. (fig. 27)

Fu perciò chiaro che, se si voleva riportare l’opera alla sua desiderata e già perduta unità, occorreva rimuovere dalla superficie tutta questa sovrapposizione anche se, come si temeva, si sarebbe recuperato un originale logoro almeno quanto tutto il resto già scoperto con la pulitura.
Fu eseguito allora un piccolo saggio, in prossimità del culmine della collina nell’ultima scena. E il risultato fu migliore delle previsioni: un colore ocraceo, ben intonato, segnalava con chiarezza la sua qualità di originale innestandosi immediatamente a creare, col suo tono, l’equilibrio con il resto della tavola.
Si procedette allora senz’altro a rimuovere completamente la ridipintura, mediante pressione di vapori caldi di piridina che permisero anche la conservazione delle parti di vernice originale esistenti. Un magnifico paesaggio, ben proporzionato e intonato con gli altri e con le figure, apparve via via che si procedette alla rimozione dello strato verde (fig. 26); cosi anche nell’altra scena del rogo (fig. 28).

Alcune fotografie sono qui presentate a documento dei risultati ottenuti.

 

La prima di esse (fig. 29) mostra un particolare della ultima scena, con una casetta e vari alberi – zona recuperata – di contro ad una parte ancora ricoperta di verde – zona ridipinta. Le altre mostrano, sempre in particolari, un’altra zona di paesaggio documentata nelle due fasi di prima del restauro e dopo il restauro (figg. 30, 31).

 

La totale rimozione delle ridipinture ha portato anche nelle altre scene trasformazioni notevoli (uno svolazzo, ad es., nella veste dell’angiolo, già ricoperto da ridipinture, nella scena dell’impiccagione) e si sono potute osservare, attraverso lo strato del colore originale reso più sottile dalla rimozione, alcuni pentimenti dell’artista, interessanti la genesi del suo lavoro. Così, nella seconda scena, la stanza era stata pensata in un’altra prospettiva che allargava la parete di fondo fino all’altezza della mano destra della figura dell’ebreo, comportando tutta una variazione di piani e per il pavimento e per il soffitto; il camino stesso, più alto, si spostava a sinistra di qualche centimetro e la parete contro la quale si accaniscono i soldati veniva a trovarsi di taglio e perciò poco chiara per la comprensione della scena; questa ragione, molto probabilmente, fu quella che consigliò all’artista l’attuale soluzione. Nella scena dell’impiccagione era invece la scala ad avere subito una trasformazione: era stata infatti dapprima pensata più in scorcio.

Una volta liberata tutta la superficie dalle varie ridipinture si eseguirono quelle stuccature che servirono a colmare le lacune di colore esistenti e su di esse, ad acquarello, fu condotto un restauro pittorico di ringranamento che, a causa della minima estensione delle zone stesse, non presentò difficoltà né problemi che comportassero arbitrarie risoluzioni. 10)


Note

1) Il restauro di alcune di esse, comunque, era già iniziato da tempo e pressoché portato a compimento all’epoca della mostra.
L’elenco completo comprende: Masaccio e Masolino, ‘S. Anna, Madonna col Bambino e Angioli’, dip. su tavola (Firenze, Uffizi); Paolo Uccello, ‘Resurrezione’, vetrata (Firenze, Duomo), ‘Natività’, vetrata (Firenze, Duomo), ‘Natività’ ’, affresco (Firenze, S. Martino alla Scala), ‘Battaglia di S.Romano’, dip. su tavola (Firenze, Uffizi), ‘Miracolo dell’Ostia’, dip. su tavola (Urbino, Gall. Naz. delle Marche); Paolo Uccello (attr.), la ‘Predella di Avane’, dip. su tavola (Firenze, Depositi Gallerie); Domenico Veneziano, ‘I SS. Giovanni Battista e Francesco’, affresco (Firenze, S. Croce); Piero della Francesca (attr.), ‘S. Lodovico’, affresco (Sansepolcro, Pinacoteca), ‘Prospettiva’, dip. su tavola (Urbino, Gall. Naz. delle Marche); Andrea del Castagno, ‘Crocifissione’, affresco (Firenze, S. Maria Nuova); ‘Deposizione’, vetrata (Firenze, Duomo); ‘Pietà’, sinopia d’affresco (Firenze, S. Apollonia); ‘Tre storie della Passione di Cristo’, affresco (Firenze, S. Apollonia), gli ‘Uomini illustri’, affreschi (Legnaia, ex-Villa Pandolfini); ‘Crocifissione’, affresco (Firenze, S. Apollonia).
Tali opere appartengono a Gallerie od Enti che sono sotto la giurisdizione della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze ad esclusione di due (predella con il ‘Miracolo dell’Ostia’ di Paolo Uccello e ‘Prospettiva’ attribuita a Piero della Francesca) che sono invece sotto la giurisdizione della Soprintendenza delle Marche che si è rivolta per il restauro al Gabinetto dei Restauri di Firenze.
Sempre in occasione della Mostra il Gabinetto dei Restauri della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze ha provveduto al restauro delle seguenti opere che non sono figurate alla Mostra ma che hanno fatto parte dell’Itinerario ad essa di complemento: Andrea del Castagno, ‘S. Giuliano’, affresco (Firenze, SS. Annunziata), ‘La Trinità’, affresco (Firenze, SS. Annunziata), ‘’Tre storie della Passione di Cristo’, sinopie di affreschi (Firenze, S. Apollonia); ‘Monumento a Niccolò da Tolentino’ affresco (Firenze, Duomo), ‘Eva ed altre figurazioni’, affreschi (Legnaia, ex Villa Pandolfini).

2) Dell’inizio di esso, dei resultati che la pulitura dava, delle ragioni che la consigliarono è stato parlato in altra occasione: il dipinto figurò infatti, a metà pulitura, alla Mostra di Opere d’Arte restaurate allestita a Firenze nella Galleria dell’Accademia nel 1947, che ebbe un suo catalogo redatto da U. PROCACCI, Mostra di Opere d’Arte restaurate, Firenze 1946, p. 45. Vedi inoltre l’editoriale del The Burl. Mag. del marzo 1947 a p. 55, e l’ articolo, nella stessa rivista, di U. PROCACCI, nel novembre 1947, alla p. 309. Vedi anche la voce Restauro, redatta da P. TOESCA, nell’Enc. It.
Va anche detto che hanno variamente ricordato l’intrapreso restauro coloro che hanno, dal 1935, scritto articoli o libri su Masaccio o Masolino (cfr. R. LONGHI in Critica d’Arte, 1940 e M. SALMI, Masaccio, Milano 1947, p. 172); così come ne parlarono, in vari articoli su riviste d’arte o quotidiani, critici e studiosi d’arte che commentarono la Mostra di Opere d’Arte restaurate dell’Accademia o che presero parte a polemiche inerenti a questioni e sistemi di restauro. Dei più importanti fra essi citiamo quelli di R. LONGHI in Critica d’Arte, 1940, XXIV, p. 11, di A. PARRONCHI
in Il Nuovo Corriere del 13 ottobre 1946, di L. BORGESE in Il Nuovo Corriere della Sera del 13 ottobre 1946, di R. LONGHI in Corriere d’Informazioni del 5-6 gennaio 1948. Anche in occasione della Mostra di Quattro Maestri critici e studiosi d’arte hanno parlato di tale restauro in articoli apparsi su riviste o quotidiani. Tra essi ricordiamo gli articoli di R. LONGHI in Paragone 1954, maggio, p. 3 e di P. GERRY in Art News 1951, n. 4, p. 25.

3) La documentazione fotografica delle varie fasi di pulitura, assai più vasta di quella che qui si è presentata, è dovuta al restauratore stesso prof. Augusto Vermerhen. Essa fu esposta al completo in una sala di Palazzo Strozzi durante il periodo della Mostra ed è attualmente visibile presso il Gabinetto dei Restauri di Firenze. Le fotografie dei particolari e dell’insieme avanti e dopo il restauro sono state eseguite dal Gabinetto Fotografico della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze.

4) E. MÜNTZ, Les collections des Médicis au XV e Siècle, Parigi-Londra 1888, p. 60.

5) H. P. HORNE in The Monthly Review, V, 1901, p. 137.

6) H. P. HORNE, op. cit., p. 138.

7) Uguale trattamento ebbero, e conservano ancora le ridipinture, – come dimostrarono le fotografie inviate dal Museo del Louvre e dalla National Gallery – gli altri due pannelli nelle corrispondenti zone alte.

8) Di tale sistema di restauro e dei suoi risultati si è parlato su questa stessa rivista: si rimanda il lettore perciò all’articolo di U. PROCACCI, in Boll. d’Arte, 1953, p. 31 ss.

9) L’ operazione di restauro è stata condotta dal restauratore Leonetto Tintori con il quale ha collaborato per la rimozione a bisturi e a microscopio delle ridipinture cinquecentesche, il prof. Gaetano Lo Vullo, Direttore tecnico del Gabinetto dei Restauri; il restauro pittorico è stato eseguito da Alfio Del Serra e da Elena Berruti Tintori.
Anche questo lavoro è stato eseguito sotto la sorveglianza del Consiglio Superiore alle Belle Arti. Seguirono il lavoro anche i membri del Comitato Esecutivo della Mostra, con particolare riguardo per i già citati a proposito del restauro precedente.
Tutta la documentazione fotografica del restauro è consultabile nell’archivio del Gabinetto dei Restauri della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze, per conto del quale è stata eseguita dal personale tecnico del Gabinetto fotografico.

10) Tutto il lavoro di restauro, eseguito dal restauratore Leonetto Tintori, è stato seguito e guidato dal Consiglio Superiore delle Belle Arti. Seguirono l’operazione di restauro anche i membri del Comitato Esecutivo della Mostra, con particolare riguardo per i già citati.
Le fotografie che documentano il restauro furono esposte alla Mostra. Attualmente esse si possono consultare presso l’Archivio del Gabinetto dei Restauri. Va tenuto presente che le fotografie di prima del restauro sono state acquistate in commercio (Foto Alinari) e le differenze di tono riscontrabili tra esse e quelle eseguite presso il Gabinetto dei Restauri, durante e dopo il lavoro di restauro, sono da attribuire alla diversa qualità delle lastre usate nella riproduzione: le prime essendo eseguite con lastre ortocromatiche, le altre con lastre pancromatiche.

 


 

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