L’opera
L’affresco rappresenta Gesù crocifisso, definito come Crocifisso monumentale per le sue dimensioni. L’immagine è di per sé molto essenziale, tipica della pittura del Maestro.
La croce, collocata su un Golgota molto stilizzato, si staglia su un fondo blu scuro, quasi nero, fatto che in genere era propedeutico all’applicazione a secco dell’azzurrite.
La figura del Cristo è abbastanza insolita in quanto ha la posizione della testa reclinata verso il basso in modo quasi prospettico, particolare non frequente nello stile dell’artista, ritrovato solo in una delle celle di S. Marco ma che purtroppo è in uno stato di conservazione molto compromesso. L’affresco è contenuto in una cornice decorata con volute vegetali ed elementi quadrangolari. La scritta nel cartiglio sopra la croce è la stessa che si ritrova nel grande affr esco dell’ex Capitolo di S.Marco ed è rappresentata in greco, latino ed ebraico ( Gesù Nazareno Re dei Giudei ).
La Crocifissione del Beato Angelico, situata nella sala del Capitolo ha destato ultimamente grande curiosità e stupore, in quanto opera giovanile, ma pregevole dell’artista e decisamente sconosciuta ai più a causa della sua collocazione all’interno del Convento di S. Domenico, nella zona che un tempo era di clausura.
Risalente alla prima metà del Quattrocento, l’affresco fu probabilmente e occultato nel 1566 quando l’intero muro della Sala Capitolare fu imbiancato completamente, come racconta la Cronica Ottocentesca del convento che si riferisce inoltre che l’affresco fu riscoperto nel 1880 da Padre Raimondo Magrini. In occasione del restauro del 1881, furono ritoccati il volto e il fregio del contorno che erano stati fortemente compromessi.
Il primo intervento di restauro sulla Crocifissione, dopo quello ottocentesco, fu realizzato da Dino Dini nel 1955. Sempre Dino Dini, molto attento alla conservazione di quest’opera, nel 1984, dopo averla nuovamente revisionata, e seguì inoltre un secondo intervento, applicando un impatto di idrossido di bario sulle superfici, all’epoca ritenuta una metodologia innovativa, a cui fece seguire un attento ritocco pittorico. Da allora, fino ad oggi, l’affresco non fu più interessato da altri restauri.
La tecnica pittorica, lo stato di conservazione e l’intervento
Grazie all’interessamento di alcuni frequentatori della chiesa di S. Domenico, della Fondazione Friends of Florence insieme a Gerhard De Geer e ai do ttori illu minati del gruppo Belacqua Camilla Alderighi, Raffaele Rasoini e Steven Woloshin, è stato realizzato un intervento di manutenzione dell’affresco e in contemporanea uno studio più approfondito della sua storia .
Il lavoro ha permesso dunque di comprendere meglio anche la tecnica pittorica, consentendo di capire che l’affresco fu realizzato in nove giornate e che vi erano dorature eseguite a “conchiglia”, come ad esempio sull’aureola. Inoltre le indagini effettuate sulla superficie pittorica hanno rilevato l’assenza di azzurrite (probabilmente un pigmento non previsto dall’artista in quest’opera) e tracce di un disegno preparatorio realizzato a sanguigna (nella parte bassa della cornice), ma anche uno spolvero (nella partitura decorativa).
Dalle analisi infine sono emersi segni di matita, testimonianza di alcuni rifacimenti ottocenteschi sulla cornice.
Prima di quest’ultimo intervento l’opera si trovava in uno stato di conservazione piuttosto intermedio, soprattutto per quanto riguardava la figura del Cristo che nel tempo aveva perso tutta la materia cromatica.
Come ricordato in precedenza l’affresco risultava scialbato, cioè occultato con una stesura di calce, in un periodo non definito e successivamente descialbato: il colore appariva in effetti molto delicato, di spessore piuttosto sottile, conseguenza di un intervento di descialbo poco accurato che ha probabilmente determinato la perdita di parte dello strato pittorico.
Ciò si è verificato soprattutto nella parte relativa alla testa del Cristo che risultava molto lacunosa, con evidenti mancanze di numerosi dettagli morfologici. Tutta la superficie dell’affresco presentava tracce evidenti della martellinatura della superficie adottata per staccare lo scialbo dalla pellicola pittorica e asportarlo.
La scoperta della presenza di queste martellinature, oltre all’individuazione di piccoli frammenti di scialbo, ha confermato in modo inequivocabile il fatto che l’affresco fosse stato imbiancato.
Tutta la superficie dell’opera era coperta da uno strato consistente di polvere e fumo nero, provenienti probabilmente dal sistema di riscaldamento dell’ambiente. Il fondo blu scuro appariva caratterizzato da evidenti macchie di umidità più scure, alternate a zone più chiare, quasi come se il colore avesse subito un’alterazione.
Sul corpo del Cristo, sull’intonaco di fondo e lungo la cornice nella parte alta erano presenti alcune fessurazioni della superficie. Inoltre in corrispondenza dei bordi delle giornate di esecuzione nella parte inferiore del dipinto si trovavano mancanze di intonaco, segno di una probabile decoesione della superficie pittorica circostante.
Anche la cornice decorata che delimita l’affresco appare in più punti mancanti del colore originale, con abrasioni e cadute diffuse .
Il basamento della croce era in parte ridipinto e privo del colore originale, come testimoniavano i rifacimenti in ampie zone dell’affresco, nella parte bassa e sulla cornice perimetrale: buona parte del fondo blu scuro, la continuazione della croce oltre i piedi del Cristo, il Golgota e buona parte della cornice erano stati rifatti, o forse ripresi, usufruendo dell’intonaco antico di supporto, probabilmente a causa di infiltrazioni di umidità dall’esterno.
Dopo la campagna diagnostica e una prima spolveratura, l’intervento di manutenzione ha riguardato il consolidamento degli intonaci e della pellicola pittorica, la pulitura delle superfici, il recupero cromatico dell’opera, alterato da tempo e da vecchi interventi, la stuccatura di cretti e lacune presenti sul dipinto e il relativo ritocco pittorico.
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